Caro Marco,
quando rileggerai questa lettera sarà passato un tempo imprecisato; un anno, cinque, dieci giorni forse, o addirittura dieci anni. Alle soglie dei trentanove anni, al primo giro di boa, mi sono deciso: era doveroso scriverti, visto che non l’ho mai fatto nell’ultimo trentennio.
Vedila come un conto da pagare a metà, una fattura da contestare o forse da pagare con il sorriso sulle labbra, un resoconto di ciò che ha riempito i nostri giorni.
Insomma, come va?
Ti ho lasciato papà di due splendide bambine di sei e tre (ma quasi quattro) anni, una moglie che ami, un lavoro che scricchiola quanto una sedia incollata con la vinavil, e tante, tantissime storie per la testa.
Negli ultimi tre anni sei cresciuto, sei diventato più sicuro di te; negli ultimi quattro hai raccontato vite, sogni e fallimenti sociali. Negli ultimi otto hai stravolto la tua vita con la famiglia, le responsabilità, donando al mondo altra vita da accompagnare per mano e lasciarla nel momento in cui riterrai giusto e doloroso.
Non è poco, sai? A vent’anni non avrei scommesso una lira su di te; incontrandoti per strada, con quei capelli lunghi e la sigaretta in mano, il tanfo di tabacco su ogni centimetro del tuo corpo, ti avrei giustamente evitato o magari avrei provato a parlarti. Ci saremmo evitati tante cose, tanti giorni riempiti del nulla, sparati in aria come piccoli pezzi di carta in balìa del vento, senza destinazione, senza motivazioni, nel vuoto assoluto di giornate grigie. Chissà, forse è proprio questo il motivo per il quale siamo quello che siamo: mele acerbe cadute presto, maturate al sole nel fango e ripulite dalla terra, da qualcosa di misterioso e affascinante, affinché niente venga sprecato in questo mondo. Una mano invisibile ed onnisciente che ti schiaffeggia, ti scuote, ti spoglia e ti riveste… una, due, mille persone accanto che ti lasciano un pezzo di sé e ti fanno vedere al di là delle nuvole.
Torneresti indietro con me a schiaffeggiare quell’odioso scafazzato che fumava trenta sigarette al giorno seduto come un corvo sulle ringhiere arruginite di periferia? Che sbagliava i congiuntivi, preferendo mondello, facendo scena muta, per spararti poi gli otto nei temi? Forse no.
Amico mio, ho capito che siamo più persone allo stesso tempo, che il bello della vita è anche sbagliare, sbagliare tanto senza farsi troppo del male; riscoprirsi, prendersi per mano cercando di accompagnarsi nel miglior modo possibile in un mare enorme, profondo, infinito: scogli-scogli, non lasciando mai la presa.
Ma ad ogni modo, se dovessi ritrovarti nelle stesse situazioni, ricordati che abbiamo un grande amico che ci ama, che non è (solo) Gesù, come diceva il buon padre Oliva, ma qualcuno che ti conosce bene: te stesso. Forse è solo merito mio, nostro, se siamo risaliti a galla, o forse perché, dopotutto, gli stronzi galleggiano.
Com’è che ha detto l’altro giorno la nonna in ospedale? “Ridi, fai crescere le tue figlie nella gioia, i problemi pesano meno”.
Cerca di essere migliore di ciò che sei adesso: scrivi, leggi, viaggia, ed ogni tanto guarda indietro evitando così di trasformarti in qualcosa che non sei. Tieniti stretti i tuoi amici, il tuo lavoro, qualunque esso sia, e non perdere mai la curiosità per ciò che ad altri può apparire scontato o noioso.
Prendi la bici, chiudi gli occhi e respira ogni molecola di questa città che amiamo come solo noi due sappiamo; ritagliati i tuoi spazi e, nel possibile (non ridere), fai lo stesso con quella povera moglie che ti sopporta.
Tra un po’ (o forse ti è già successo), avrai tre donne in casa che se ne diranno (e te ne diranno) di tutti i colori: sii loro amico e fai in modo di essere per loro l’uomo migliore che possano sperare di avere al loro fianco quando riterranno opportuno, che, lo sai, sarà sempre troppo presto per te.
Ridi, piangi, impara, sbaglia.
Vivi e rileggi questa lettera ogni tanto.
Ti voglio bene.
Ti abbraccio,
Marco
Come direbbero i francesi, “mi arrizzano le carni” :) Grande Marco!
Se lo merita… è un bravo picciotto :)
Je me hérisse la viande
Ti dai del tu?! Io, ogni tanto, parlando con me, di me stesso, mi sono trovato a darmi del “Lei”, anche se lui pretenderebbe il “Voi”(siamo un condominio di personalità)
La verità è che esistono tanti Marco, Giovanni, ecc.,ognuno con i propri pregi e difetti e ognuno con le proprie responsabilità. L’importante e trovare un punto di accordo, dal momento che, volente o nolente, condividono lo stesso corpo,anche se in tempi diversi.
A volte è difficile farli stare insieme… :)
la vita è amore… e se noi stessi ci vogliamo bene, possiamo dare anche tanto a chi ci circonda… grazie Marco!
Quasi cinque anni esatti. :*