I Delinqüenti. Me li porto dietro da anni. Dal 2008 ad essere sincera. Quasi dieci anni. La colonna sonora di una vita, in pratica. Chitarre con corde di fuoco flamenco, sonorità nuove e antiche, poesia di strada.
Così, mentre io bevevo tinto de verano all’ombra della Torre de Oro, le note echeggiavano nel pomeriggio. Non ho mai raccontato a nessuno cosa è stato davvero l’Erasmus per me. Appena tornata ne parlavo a raffica, come tutti gli ex erasmus del resto – quando ero in Erasmus facevamo questo, quando ero in Erasmus facevamo quello. Col passare del tempo però tutto è cambiato. Avete presente quando un ricordo è talmente bello che vi fa male ricordarlo? Così ho smesso di pensarci. Ho smesso di ricordare quei pomeriggi al fiume, quelle sere per le strade dai nomi esotici coi bicchieri in mano e il ghiaccio in tasca. E cosa succede quando smettete di ricordare qualcosa? Che ve lo scordate. Ho scordato tante di quelle cose belle che quasi compensano la pena del ricordo.
Però una cosa non ho smesso di fare: mi sono imposta di ascoltare quelle note ogni giorno della mia vita, dal momento in cui ho rimesso piede in casa e riportato in segreteria il Learning Agreement per farmi validare quei miseri esamucci. Così Poeta del Estrecho, El aire de la calle e tante altre non mi ricordano più solo quel tempo ma ogni fottutissimo periodo vissuto.
Avevo ventidue anni, partii con due valigie colme di roba e misi piede in un paese straniero dove non ero mai stata. Ero sola. Avevo letto su internet che per raggiungere l’ostello dovevo prendere il tram e scendere dopo due fermate. Presi il tram solo quel primo giorno, perché le fermate distavano pochissimi metri tra loro, una passeggiata che avrei fatto ogni giorno per un anno. Entrai all’ostello, cinque notti prenotate giusto il tempo di trovare alloggio – ero ottimista – posai la valigia grande nell’armadietto, quella piccola sotto il letto a castello. E cominciai a piangere. Chi me l’aveva fatto fare? Ero sola, non conoscevo un angolo di quella città straniera dove non parlavano lo spagnolo che avevo letto sui libri. Poi mi ricordai di quel ragazzo che avevo conosciuto in aeroporto, in fila per l’imbarco, anche lui andava a Siviglia in Erasmus e mi aveva lasciato il suo numero scritto su un pezzo di carta. Che pezzo di merda, quando chiamai mi rispose una signora di Treviso. A che pro darmi un numero sbagliato? Quel ragazzo poi visse con me per un anno e risultò che quello era un 7 scritto male che avevo scambiato per 9. Fabio qualche anno fa è venuto a trovarmi in Sicilia.
I coinquilini e gli amici che ti accompagnano in Erasmus sono la tua famiglia.
Dodici notti in ostello cambiando letto ogni due notti, mangiando pan de molde con jamòn york e schifezze varie. Dopo una settimana, stanca di cercare casa e di mangiare merda, decisi di andare al ristorante. Conoscevo a memoria poemi di Bequer, cantavo versi di Lorca e recitavo en un lugar de la Mancha de cuyo nombre no quiero acordarme, però quando mi cadde la forchetta per terra non sapevo come dirlo al cameriere e mimai con due dita maccaroni m’hai provocato e io ti distruggo. La scuola non ti insegna a vivere in un altro Paese, ad andare a fare la fila negli uffici, a cercare informazioni sui siti istituzionali, non ti insegna nemmeno che quando un andaluz ti dice “ci sentiamo domani mattina” vuol dire dopo le 10:00. A forza di chiamare alle 8:00 del mattino e farmi mandare affanculo da metà dei padroni di casa di Siviglia ero stremata alla ricerca di un tetto e avevo deciso di tornare in Italia, non potevo sopportare più quella vita da ramingo. Poi folgorazione, proprio dietro l’ostello ho trovato casa mia. Ormai conoscevo le strade di Siviglia a memoria. Cominciarono ad arrivare coinquilini, italiani, francesi, tedeschi, belga: una famiglia multietnica. Sì, normalmente dell’Erasmus si ricordano le festazze epiche – e fidatevi che in una casa di tre piani ce ne furono di festazze – ma non sarà quello che ricorderò per sempre. Sono le volte che andavo a fare la spesa con la valigia, sono le volte che uscivo di casa e per il troppo caldo il suolo ardeva e pareva di stare in mezzo al deserto, le volte che passeggiando sotto gli alberi del Alcazar godevo dell’ombra di quelle alte palme, sono le musiche di quell’artista di strada che al tramonto suonava per me seduta alla panchina di Plaza del Triunfo, sono le volte che guardando il sole scendere dietro le nubi di Triana il mio cuore si alleviava di tutte le preoccupazioni. E le note, ovviamente. Quelle stesse note che stanno suonando proprio mentre scrivo questo racconto.
Con mi guitarra en la mano yo nunca paro de cantar
Meno male che esiste la malinconia… sembrava di essere li con te. In ogni caso, chiunque voglia veramente godersi i suoi giovani anni, deve viaggiare da solo e, possibilmente, prendere un letto in un paese straniero. Ti cambia il sangue, ti allunga la vita.
Bellssimo :*
nostalgia canaglia…
Bello, ho ricordato le vie e le palme e provato brividino. Mi piacerebbe vivere fuori, ma non ho più l’età, dunque benedette le tue lacrime-da-primo-giorno!
E poi cosa significano questo: “Avete presente quando un ricordo è talmente bello che vi fa male ricordarlo?” e seguenti, sono sicura che avrai modo di scoprirlo al momento giusto ;)