Non lo so se c’è stato un vero e proprio inizio; i miei ricordi si fermano ad una bambina piangente sotto capelli marroncini pisciati; una bambina disperata e immobile su un foglio bianco titolato: “TEMA:” (scritto con quella T in corsivo maiuscolo che mi dà ancora ai nervi) “Cosa vuoi fare da grande?”. Reazione: elettroencefalogramma impazzito per assenza di sogni e di capacità di maneggiare l’alfabeto. Alle medie niente di che, solo l’importanza della differenza tra “in seguito” e “inseguìto”. Alle superiori, invece, la rivoluzione: allo scritto prendevo 8, 9 e 10; avevo nel cuore Ermengarda, Svevo, Pirandello, Fra Galdino con la sua noce, i campi di concentramento, Freud e a un certo punto, grazie a dio, anche Nietzsche; scrivevo col foglio diviso a metà, lentissima a ricopiare, logorroica, con la nonnina che a casa aspettava la brutta copia dei miei temi. Ricordo che mi apprecavo a come iniziare, non volevo che fosse sempre “in questo tema parlerò di”, o qualcosa di slavatamente simile.
Non saprei dire nient’altro di questa necessità antica di scrivere, semplicemente lo facevo e basta, il resto è nato dopo. Il resto è nato quando ho perso di vista sogni, risorse, sentimenti di esistenza. Avevo conosciuto un letterato, dottorando in lettere per la precisione, e qualcosa di questo tizio fuori di testa mi affascinò; ricordo ancora le telefonate in cui mi parlava della trigonometria delle sue feci. Era folle, incapace di amare, narcisista di testa, di cuore (rigorosamente assente) e di parole. Io avevo già abbandonato il caschetto biondo per i ricci rossi e lui mi gettò in una crisi bella e grossa. Sentii il bisogno di cercare e cercarmi, di cambiare tutto, di smettere di farmi chiamare Noemi, con quel “no-negazione” fastidiosamente intrinseco al mio nome. Iniziai a presentarmi come Emi, suono più dolce sulla necessità di sfasciare i modelli ingessati: basta con la danza (d’altronde, la sciatica e le tette 3 coppa C non mi avrebbero mai permesso grandi arabesques); basta con le lacrime, con la “reclusione” tra genti che parlavano di nerdate ingegneristiche, di salsa e di unghie al merengue, che uscivano dopo le 23 per mangiare le crêpes con la nutella al Santa Monica e che avevano aspettative da Mulino Bianco narrate su chitarre sintonizzate su Battisti. Nel forum di lettere e filosofia trovai nuovi amici e nuove esperienze, scoprii la mia curiosità politica e mi innamorai delle parole e delle loro potenzialità. In quel periodo, iniziai a passare le notti a scrivere di dolori e di colori su un blog tutto mio. Quel blog mi ha salvata ed accompagnata mentre mi ribellavo ai destini: tradii lui, conobbi coetanei di vita e di penne, la Santacroce, la musica di Gas, la possibilità di progettare e di dire cosa non mi stava bene. Così, tra i diversi, trovai identità e nuove prospettive, altri amori, perdoni, strade, scritture. La mia terapeuta apprezzò. Anche quando decisi di iscrivermi con Manuela ad un corso di scrittura autobiografica. Ero precisa, odiavo i refusi e avevo molto da raccontare; ero anche melensa e logorroica. Leonora mi insegnò la scrittura automatica ed a inforcare la penna con il nuovo piacere del distillare; mi insegnò a costruire, costruirsi e condividere e ad apprezzare lo straniamento; ci mettevamo in cerchio per ben guardarci, ascoltarci e vederci… le parole scritte e lette ci contenevano, erano ripiene di noi. Ricordo le compagne del gruppo, qualcuna malata ed oggi nell’Altrove, le foto del papà di Manuela mai viste prima, io che per la prima volta riesco a scrivere della morte di mia madre, il riaffiorare di ricordi, di “Buonanotte Fiorellino”, le lacrime trattenute a fatica sul sentirmi viva. (…Sono rimasta un po’ melensa e logorroica, sì).
Intanto nascevano, nell’ordine, la parentesi di “Iononhomai”, gli scambi di commenti post-adolescenziali sui blog dei compagni di penna e poi Abattoir. Anche Abattoir mi ha salvato. Penso che fu colpa soprattutto di Michele, del suo rappresentare psichicamente il Laboratorio Zeta e la politica, che non conoscevo direttamente. Io avevo “bisogno” di scrivere, ma volevo scrivere di sociale e condividere intuizioni e pensieri. Ne avevo “bisogno” innanzitutto perché ero curiosa di scoprirmi e insieme di leggere gli altri, di imparare. La psicologia che si studia a Palermo ti prepara anche a questo – volendo -, nonostante tu non sia un’attivista di prima mano; ma io ero cresciuta in un oratorio salesiano, a 25 anni ne avevo già 10 di volontariato alle spalle e certe cose le condividevo inconsciamente, anche se non le capivo bene. Ho ancora sulle braccia le emozioni di quei giorni… in fondo, non abbiamo fatto e non facciamo nulla di speciale, siamo solo noi stessi, espressi oltre che in carne, sangue, cellule, pensieri e parole, anche per iscritto. Noi stessi. Me stessa, disponibile a scoprir(si) a ogni nuova riga mia e altrui. E’ il mio modo (anzi: uno dei), punto.
E quando oggi, nel mio percorso di vita da NON letterata, incontro gente nuova che mi guarda di soppiatto per la mia grafomania, per la mia ricerca di questo o di quel termine, per la linearità con cui non mi preoccupo di scrivere (magari di parlare sì) …a volte mi sento violentata dagli occhi strani, stranieri e straniti che dissimulano interrogativi per il contenuto del mio quaderno/file (uno con le citazioni che mi piacciono ed un altro con i pensieri preferiti e con la lista dei post che vorrei scrivere, tempo permettendo). A volte questi occhi mi hanno anche fatto sentire estranea a certi mondi; a volte mi hanno fatto sentire “troppo”. Io, però, non ci vedo niente di troppo: è un umano essere. C’è chi sa passare da un’unghia violetta all’altra, ogni giorno sempre più pataccosa o appuntita. C’è chi tratta di chimica o di programmazione come fosse acqua frizzante. C’è chi parla da dio e c’è chi si sente dio. C’è chi pensa di essere arrivato, chi ti guarda storto di nascosto perché non hai l’hobby della birra (o non solo quello). C’è addirittura chi interpreta il tuo essere. C’è di tutto, davvero. In mezzo ci sono anche io, che ci scrivo su perché mi piace trattenere i pensieri, perché mi diverte appuntarli con le mie frecce e poi colorarli per vederli meglio mentre cerco le parole che mi piacciono e ci gioco e me le immagino. Non è patologia, non credo. Mi ha aiutato, mi aiuta ancora e lo consiglio ai miei pazienti.
Il fatto è che ci sono molti Sé; alcuni li contattiamo e o scopriamo più facilmente, sugli altri ci dobbiamo scavare o scrivere o pensare addosso. Si chiama “elaborazione”! Ognuno lo fa a modo suo: con i suoi amori, le sue vie e i suoi ossigeni. Io, per esempio, credo nella simbolopoiesi, nel valore etico ed estetico di certe cose. Una di queste è la scrittura. Forse qualcuno mi riterrà strana o ossessiva perché scrivo e lo faccio in un certo modo “vezzoso” (tipo che non mi firmo o che non metto il titolo, soprattutto se è banale e se mi sfalza le pagine, diamine!). Amen… Solo, mi spiace che non si veda che, nonostante la brachialgia, io mi ci diverto; e che quello che non capite si chiama diverso, ed è magari una storia di creazione, di amori, di vie e di ossigeni.
Che bello questo post.
La cosa meravigliosa è l’amore che condividete l’uno per l’altra: tu hai bisogno di Emi, Emi ha bisogno della scrittura. E questa cosa sarà così per sempre, e forse andrà anche oltre nel momento in cui resteranno solo le pagine a spiegare al mondo, finalmente, ciò che siamo stati, avremmo voluto essere, siamo.
:*
Condivido. E mi commuovo.
Grazie grafomani :)
Credo che la scuola italiana uccida più che creare, così scriviamo perché ce lo impone la scuola, giudicandoci e creando quelle convinzioni come “io non so scrivere bene”, magari solo per una calligrafia poco elegante. Così moltissimi si limitano a scrivere solo per dovere.
La scrittura richiede concentrazione, richiede il soffermarsi nell’elaborazione di qualcosa che una volta terminata rimarrà per sempre. Richiede di fare i conti con se stessi quando devi rileggerti. Scrivere è sapere prendere un impegno. Cose che oggi non vanno più di moda.
Io ringrazio Abattoir e tutte le pazienti corretrici di bozze che mi hanno aiutato nel tempo a tirare fuori pensieri e trasformarli in testi.
E ancora una esortazione che non può essere che (psico?)politica: oggi scrivere è un atto rivoluzionario, che va contro la nevrosi quotidiana e abbatte porte per la riapproriazione del sé e delle relazioni, quindi continua ad insegnare a non vergognarsi se non si scrive bene e prendersi del tempo per scrivere. :)
Hai centrato, che (non) stupore (:
Un bacio!
P.S.: sul non vergognarsi…. sfida, che si affronta!