di Maria Lo Bianco
“Teresa l’ho incontrata per la prima volta in un carcere nel 1969. Le ho parlato due minuti e ho capito che era il personaggio che cercavo”. Così la scrittrice e poetessa Dacia Maraini presenta uno dei suoi tanti personaggi letterari e letteralmente presi dalla realtà. Alla fine degli anni Sessanta e agli inizi dei Settanta condusse un’inchiesta sulle carceri femminili lungo tutta l’Italia sia per conoscere la realtà, come sempre quando parla Dacia Maraini, quella più scomoda, meno attraente, meno parlata, sia per creare un personaggio letterario che tanta fortuna ebbe nelle sue mani e attraverso la sua penna. Stiamo parlando del libro Memorie di una ladra, pubblicato per la prima volta nel 1973 e diventato poi un film con Monica Vitti e in anni ancora più recenti una pièce teatrale con Mariangela D’Abbraccio. Era il testo più amato di un grande amico della Maraini, Pier Paolo Pasolini, che dopo volle la sua amica per scrivere a quattro mani il film Il fiore delle mille e una notte.
Ma tornando al libro di cui oggi vi parlo brevemente, esso racconta le vicende di vita e di “carriera” di Teresa Numa, analfabeta laziale con una storia di degrado alle spalle, la famiglia originaria e i nove fratelli dalle alterne vicende, e una propria esistenza inventata giorno dopo giorno, dalla seconda guerra mondiale agli anni Settanta, facendo, in compagnia di amiche abili e meno abili, la piccola rapinatrice autrice di furtarelli in giro per l’Italia. Si tratta di un romanzo che è stato definito picaresco, dallo spagnolo, briccone, furfante e dal ritmo irresistibile, incalzante. Vediamo la protagonista muoversi tra la strada e i borseggi e altri tipi minori di reato a contatto con colleghe che arrivano a vendersi per sbarcare il lunario. Ma Teresa no, lei mantiene una sua moralità di base, una innocenza e una ingenuità che la fanno amare appassionatamente mentre si sorride delle sue rocambolesche disavventure. Finisce in diversi penitenziari, con le ergastolane, con le malate di mente, con quelle come lei e sempre, anche nei momenti più drammatici, la penna di Dacia Maraini la solleva verso un destino interiore di grande spina dorsale. Conosce l’amore con abnegazione verso un uomo, il suo compagno, e conosce quello della realtà carceraria femminile, il diffuso lesbismo un po’ tirannico delle carcerate e delle suore comandanti, senza farsene toccare. E’ un episodio imperdibile nella complessiva trama narrativa della grande scrittrice italiana, oggi candidata al premio Nobel. Lei dice di aver pensato, oltre che ai romanzi picareschi originali, anche al famoso Moll Flanders di De Foe e a La Celestina De Rojas. Fatto sta che è una lettura che solleva l’umore, insegna a guardare dentro luoghi di solito chiusi, in tutti i sensi, alle coscienze collettive e individuali, le prigioni femminili, ed è raccontato da un punto di vista femminile… In tempi di femminicidio ci vuole, direi.