di Gregory Di Giovanni
Si dice: tira più un pelo di fica che un carro di buoi. Per i gay questo detto però non vale, per loro infatti tira più un party, una gallina canterina, un “maschione” dietro un bancone, dei manzi a petto nudo che ballano o il nuovo guardaroba di H&M.
C’è però un evento, in cui tutto questo lo si può trovare in un colpo solo, un evento in cui le creature mitologiche tornano a vivere, in cui gli orsi escono tra la gente, anche se è periodo di letargo, in cui il kitch si mescola a toni seriosi e a diritti evocati, questo evento è il Gay Pride.
Puntuale come la carrozza/zucca di cenerentola arriva ogni anno, portando con se polemiche, gioia, ovazioni, così come avviene per quegli eventi d’eccezione che uniscono nel bene e nel male fazioni diverse che ne parlano per giorni, un po’ come avviene ogni anno col Festival di Sanremo, un po’ come avviene per i mondiali o anche per le elezioni politiche.
Il pride, da anni momento di incontro e scontro, luogo presieduto da angeli e demoni, luogo in cui l’allegoria fa da padrona e che spesso, osservato da lontano, viene pensato e lavato dai suoi peccati attraverso preghiere mirate e a gran voce richieste da gruppi “ultracattolici”.
Per carità, è bello pensare che una volta all’anno il mondo attorno a noi si colori di arcobaleno, che l’unione diventa vera forza e che con un solo grido, per un giorno si spazzino via odio e pregiudizi, ma molti dubbi attanagliano froci non proprio della prima ora.
Il pride ha sicuramente segnato la società, il costume; è diventato un istituzione ed ha portato parole di conforto lì dove prima non ve ne erano e spesso, per fortuna, dal parlare si è arrivati all’azione.
Ma i dubbi, quelli di cui si parlava prima, quali sarebbero? A cosa sono ancorati?
Caro lettore, ti sei mai chiesto chi è davvero colui che partecipa ad un pride? Ti sei mai chiesto se le persone che quel giorno sventolano bandiere, cantano, urlano, poi nella vita di tutti i giorni portino questo messaggio di pace ed uguaglianza nella società in cui viviamo?
Perché a vederlo da fuori è tutto bello, meraviglioso, colorato ed eccezionale, ma per me spesso e volentieri Gay Pride equivale a ipocrisia ed a stronzi che fanno parte del mondo gay, che nella vita di tutti i giorni additano altri gay per come sono vestiti, per come si muovono, per come parlano, per i chili di troppo che hanno o perché non rappresentano quell’idea di “maschio” che loro vorrebbero scoparsi da mattina a sera.
Il pride dovrebbe essere l’esibizione del proprio orgoglio in tutto l’arco dell’anno, non per un giorno in cui puoi fare casino, puoi andare a rimorchiare e issare il medio a gran forza contro Giovanardi (che comunque se lo merita).
Io da anni porto il mio personale pride ovunque!! Tutti sanno chi sono, cosa faccio, con chi sto e non ne ho mai fatto mistero a chiunque me lo avesse chiesto, incluso e soprattutto al lavoro.
Ricordo ancora che qualche anno fa, alla fine di un pride andai in un noto locale romano a bere con amici, un locale Gay, pieno zeppo di gente felice che era stata al pride e parlando con i commensali quando seppero che io non andavo al pride mi accusarono di lesa maestà.
La mia risposta immediata e tagliente fu la seguente: tu hai marciato per i tuoi diritti, quindi deduco che tutti sanno che sei gay, che i tuoi amici sappiano di te e che al lavoro lo hai detto a tutti quelli che te lo hanno chiesto.
Al suo “NO” secco, gli dissi: “tu non sai neanche lontanamente cos’è essere orgogliosi di quello che si è. Io faccio il mio pride tutti i giorni, per quelli come me e per quelli come te che si vergognano di dire chi sono e si sentono “fighi” perché sfilano solo un giorno all’anno.
Se tu oggi hai potuto sfilare è perché io faccio sì che quelli come te siano visti come persone normali, tu raccogli i frutti del mio essere frocio e delle frecciate che magari lanciano dietro di me e sappi che nel tempo tu verrai percepito come normale ed accettato, ma sarà per merito mio che mi sono esposto, non tuo che invece ti sei sempre nascosto.
Morale della storia; Pride è per me una parola abusata, il pride in questo paese bigotto non lo ha fatto Tiziano Ferro, Cecchi Paone o l’avvocantuncolo che oggi si dichiara; il pride lo hanno fatto quei vari personaggi che non ammiro per stile linguistico, ma che hanno contribuito affinché la percezione del “finocchio” magistrato diventasse meritevole di lode.
Il mio grazie va dunque ai vari Malgioglio, U.Bindi, Zero, Platinette e solo per ultimo ai sopracitati e ultimi personaggi pubblici, che hanno contribuito in un momento storico più favorevole, a sdoganare il gay “macchietta” che da brutto anatroccolo è diventato cigno ed oggi fa l’avvocato, il giudice, il medico, il giornalista e molto altro.
Come non essere d’accordo, amico? Ma magari a volte serve solo del tempo soggettivo… o almeno me lo auguro. A te, intanto, vanno gli auguri.
(Domani un mio nuovo post su corpo, genere e soggettività :) )
Infatti l’articolo parla degli “altri”, di quelli che “campano” a scrocco, non di chi non ha ancora passato la soglia di consapevolezza. Grazie per gli auguri :)