La mamaliga la mettono ovunque, è vero: 7 giorni di fila a mangiare polenta di mais, una cosa bella sustanziusa che, devo dire, mi è piaciuta assai. Laura la incontro in quello che in Italia chiameremmo “autogrill”; in Romania invece il “suo” è un ritrovo fuori dai soliti giri appollaiato sulle colline della statale (ci sono solo 300 km di autostrade lì!) in cui si vanno a festeggiare matrimoni e ricorrenze per cambiare aria! “Qui si mangia bene – ci spiega Laura – e il titolare è una persona… buona!”. Questi “autogrill” assomigliano un po’ alle nostre baite/rifugi: tettucci spioventi, fiorellini vari, bar, tavolini dentro e fuori, gente (camionisti per lo più, ma non solo!) che mangia ciorba (zuppa) e a seguire carne e mamaliga o mamaliga e carne con smântână (panna acida) e una spolverata di tarhon (dragoncello). Il posto direi che è alla buona, più curato dei nostri posti alla buona, ma pur sempre alla buona, appunto. Laura è una dei pochi romeni che parlano italiano che incontriamo; cioè, per carità: non saprei se qualcun altro parlava italiano, so però che di parlare voglia proprio non avevano. Il romeno che ho incontrato sul mio cammino è taciturno, diffidente, poco voglioso di chiacchiere; un po’ mi irrita, addirittura! Laura invece mi sa che potrebbe parlare per un bel po’. “E’ bella Romania, vero?”.
Io e Anto siamo felici di poterci confrontare, abbiamo tanto sentito il bisogno di parlare dei paesaggi incredibili in stile Heidi e della gente più varia che cammina sulle statali con i sacchi della spesa. “Siete qui per un mese? Due settimane? …”. Non so come veicolare a Laura che siamo lì solo per una settimana, anche se vorremmo restare molto di più e andare anche al nord, oltre la Transilvania, ma che le nostre finanze permettono solo questo. Mi vergogno un po’ a spiegarlo, ma lo lascio intendere. Mi vergogno perché, mentre mi parla, Laura ha gli occhi acquosi… “Anche Italia è bella…!”. Sospira. “Io ho vissuto anni in Italia, avevo la nonnina… sono stata in Toscana, in… Calabria… Ancona!”. Laura è giovane e devo dire che è bella senza nessuna sofisticazione. Trucco poco o niente, capelli scuri, legati, e occhi chiari. Il nome non lo dice, ma è scritto sulla targhetta della divisa. Vedo che quando parla con noi ha una voce e una faccia morbide, ma cangianti a seconda del cliente in arrivo (non è che ne arrivino molti, il turismo lì è diverso da qui, meno di massa). Nostalgica la definirei, e mi verrebbe di darle il mio biglietto da visita: pensiero irrazionale e da non sense. Forse perché la sento soffrire… ma io sono in vacanza e sarei selvaggia a dirle che la sento soffrire, appunto. Così taccio e le parlo della Sicilia e del mare; le si illuminano gli occhi, io la guardo e lei aggiunge: “Ma va bene così… . Romania è povera… Ma i soldi… non sono tutto…”, dice dopo un po’ in un italiano che ripesca le parole in memoria. Noi non riusciamo a resistere e ci lanciamo sguardi interrogativi. Cosa vuole dirci questa barista triste? Abbiamo letto che il governo ha fissato il tetto degli stipendi romeni a 1.450 Lei al mese, i nostri 318 euro… lì il costo della vita è 1 a 4 e qualcosa… le strade non sono tutte asfaltate e in pochi, intuisco, hanno la macchina. La spesa si fa negli Alimentara e, se la città è turistica, al Carrefour Express. Non ho visto grandi supermercati, se non un 2-3 Penny Market in tutto e un paio di Lidl e per giunta alla periferia delle “grandi” città. In molti paesini (che chiamerei più precisamente “villaggi”, nonostante abbiano la grandezza di Custonaci e nulla da invidiare all’atmosfera di Erice) ho visto pozzi per l’acqua e abbeveratoi per mucche tra un isolato e l’altro, tra un covone di fieno e l’altro. Eppure in quelle strade scandite da tettucci spioventi, mura pastello e carretti, cavalli, oche e galline ritrovo serenità e il senso di cosa è importante e di cosa forse no. Intanto Laura vuole dirci qualcosa di altro… Le chiedo perché c’è questo vincolo statale sugli stipendi. Laura annuisce amara. Io specifico che non me ne intendo di politica. “Qua è così, il governo decide…”. Mi fa alcuni nomi di politici, mi racconta qualche bega governativa, ma vuole andare da un’altra parte, ce ne accorgiamo… “Io in Italia guadagnavo bene… ma i soldi non sono tutto… I piccoli bimbini vogliono la mamma…”. Penso che sta per piangere, ma entra un altro cliente e torna gelida. “Molti romeni vengono in Italia per la famiglia, tutti vanno, raccontano che si guadagna bene… Io guadagnavo bene… Certo, è brutto lasciare famiglia… Ma poi i bimbini crescono, il pallone, i libri per scuola… e come fai…?”. Mi scorrono davanti le immagini dei bambini in bicicletta che pedalano sorridendo sulle strada erbose che ho visto, mi torna in mente Lipscani, a Bucarest, il quartiere notturno a cui abbiamo preferito un pub metal per sfuggire alla visione di pezzi di carne di femmina che ballavano (e pure male) davanti alle vetrine dei locali su pessima musica. Laura ripete qualche altra volta la storia dei bimbini. “Però in Italia la gente non è così… Sono freddi! Noi qua se non abbiamo la macchina per andare a comprare olio, zucchero …perché non tutti abbiamo… macchina… il vicino te la presta o ti dà olio, zucchero… In Italia no!”. Le dico che in Sicilia non è tanto così, che c’è più solidarietà che al nord forse… Ma mi sembrano parole un po’ vuote e non mi sento bene; vorrei dirle qualcosa di diverso, ma sarebbe maleducato. Penso che questa donna è forte, ma non solo… “L’ultima volta che sono venuta, io venivo a Romania due volte l’anno, il mio bimbino più grande dice: ‘Mamma, se te ne vai di nuovo non so che succede’… e poi mia nonnina… è morta… E ora si guadagna poco, ma lui va meglio a scuola…. E i soldi non sono tutto. Si lavora tanto…….. Ce la facciamo così…”. Si stringe nel gilet nero mentre lo ripete più volte. Dobbiamo salutarla e un po’ mi dispiace. “Va bene così…”, ripete, mentre ci allontaniamo e in corner le porgo la mano, stringo forte la sua e mi presento: “Comunque piacere, Noemi! E… grazie di tutto!”. Sorride, dice ciao. La guardo con ammirazione, preoccupazione e con un viso pieno di supporto. Dico qualcosa di incoraggiante mentre usciamo dalla porta. Ormai ho mal di pancia, fuori fa freddo e il Jack Daniel’s di Anto ho sentito il bisogno di sorseggiarlo anch’io. La prima settimana di settembre in Transilvania le temperature sono quelle del nostro dicembre e noi non lo avevamo capito. Siamo così ingenui a volte…