di Giusy Gaetani Liseo
Trovandosi in biblioteca, come di consueto Marcel perse il filo logico dei suoi promemoria mentali nella ricerca di ispirazioni. Si imbatté in un testo che aveva più le sembianze di un saggio socio-politico che di un romanzo dai contenuti leggeri, il quale, senza dubbio, sarebbe stato più conveniente per intrattenere le ore grigie della giornata. Si bloccò a leggere un passo che recitava così:
«Il motto del Ribelle è: “Hic et nunc ” – essendo il Ribelle uomo d’azione, azione libera ed indipendente. Abbiamo constatato che questa tipologia può comprendere solo una frazione delle masse, e tuttavia è qui che si forma la piccola élite capace di resistere all’automatismo e di far fallire l’esercizio della forza bruta. È l’antica libertà in veste moderna: la libertà sostanziale, elementare, che si ridesta nei popoli sani ogniqualvolta la tirannide dei partiti o dei conquistatori stranieri opprime il paese. Non è una libertà che si limita a protestare o emigrare: è una libertà decisa alla lotta.»
Non comprese immediatamente; non tanto il senso del contenuto, ma il perché proprio in quel momento si ritrovasse tra le mani questo piccolo trattato. Era solito sperare che, in qualche modo, nella vita gli eventi e le coincidenze accadessero perché non può essere altrimenti. Ma l’avviso dell’imminente chiusura della biblioteca lo fece stizzire di colpo e la profondità dei nuovi pensieri sopraggiungenti fu rimpiazzata da un acido commento proferito quasi ad alta voce: “li potrebbero catalogare meglio questi testi!”. Eppure, avrebbe dovuto realizzare in quel momento una connessione tra due sistemi di pensiero diversi: il primo catartico ed esistenziale sulle coincidenze della sincronicità ed il successivo disprezzante sullo stato organizzativo delle cose di quell’ambiente.
Avviandosi verso casa con la bici “King”, rimuginava tra a sé: i pensieri si infittivano insieme alla nebbia circostante calatasi all’uscita della biblioteca. Cosa lo portasse a frequentare quell’ingarbugliata biblioteca, la cui parte moderna non meritava di sicuro i vanti di quella antica, non era ancora riuscito a motivarlo. Ma di una cosa era ormai divenuto sicuro dopo essersi messo a letto: l’hobby dello scrivere, pensava, era riservato? Se lo poteva permettere? O era di vocazione soltanto di chi non avesse altri particolari talenti, come quello di cantare, suonare o esprimersi con la danza? Del cantare aveva avuto sin dall’infanzia la certezza che sarebbe stata una scelta disastrosa, in quanto non aveva una voce armoniosa e udibile; dal danzare era ormai fuori portata poiché la tarda adolescenza non gli concedeva la giusta flessibilità nei movimenti; e infine, del suonare riteneva che sarebbe stato un grossolano errore, poiché la dedizione che richiedeva minava la sua fragile forza di volontà. Di queste attività pensava che presupponessero una fortissima propensione all’esibizionismo egocentrico, una forzatura alla sua monolitica indolenza. Lo scrivere, invece, sembrava adattarsi alla sua essenza caratteriale un po’ riservata e un po’ audace e si uniformava al suo nuovo stile di vita: giornate intense di lavoro, quello che aspettava da tempo dopo anni di assoggettamento alle regole imposte dai percorsi comuni e agli obblighi, per veder piovere virtualmente dei soldi che gli avrebbero permesso, com’è giusto comprendere, una vita di personali piaceri e di orgogliosa indipendenza. Di certo non si trattava del lavoro che avrebbe dato continuità a quello che ci si aspettava da lui o che lui forse si aspettava. Eppure aveva avuto voglia di provare, in un primo momento per soldi e poi, quasi in modo masochistico, per capire cosa significasse uniformarsi alla modestia, al mondo dei lavori umili. Ben presto si accorse che quel mondo gli piaceva, che anche lì c’era spazio per la fantasia e la creatività, per l’impegno meditativo (per il tempo che concedeva alle sue riflessioni, durante e dopo l’attività) e fino a quello civile. Aveva compreso, dopo le iniziali resistenze, quanto fosse contento di esserci per le persone che ne facevano parte, tutte motivo di ispirazione e grazie alle quali costruire storie e ricavare macchiette degne di caricatura, o semplicemente per le persone che vivono la loro quotidiana battaglia in un mondo di carnivori e prede. Capì che questo mondo non era poi così diverso di altri già visti, in cui dominati e dominanti si fanno contemporaneamente spallucce a vicenda e mostrano disinteresse e disprezzo per il lavoro altrui o si fronteggiano quando se ne ha necessità, ovviamente per le proprie egoistiche esigenze. Un mondo che lo faceva sentire un outsider positivo, un motivatore, un diplomatico a servizio della lotta quotidiana al mantenimento di un’ordinarietà pacifica e produttiva al tempo stesso. Esperire l’esperienza con filosofia e lasciarsi scivolare i massi del duro lavoro per poi ricominciare era la sua nuova conquista, come per Sisifo.
Nonostante queste nuove e appassionanti consapevolezze, la fatica accumulata durante il giorno, a volte, gli rendeva impossibile darsi da fare o perlomeno, come pensava lui, lasciare un contributo al mondo (e ne aveva molte cose da dire!). E così finiva la giornata ad appagare almeno il suo istinto primario: la fame. Dopo essersi preparato una veloce e misera cena col viso incollato una volta ad un libro e la successiva al Mac, si scioglieva in un abbondante sonno che non gli permetteva di rimettere in riga i pensieri fatti un momento prima, di mettersi a servizio di tali pensieri con l’azione e infine di tenere ancora gli occhi aperti. Perciò, con il Mac ancora sull’addome e rischiando che gli scivolasse di traverso, si destava da questa quotidiana sconfitta quasi fino ad imprecare per un’altra occasione sprecata. …Il giorno successivo avrebbe ricominciato tutto daccapo.
C’è un libro che si chiama “L’inutile fatica di essere se stessi”, parla della difficoltà ad essere (attivi e proattivi) Sé stessi nella comunità (?) capitalistica…
Questa è una delle cose che mi fa soffrire. E’ difficile. Per me lo è diventato.
Interessante prospettiva di osservazione. C’è un macigno altro da noi stessi che ci opprime: lo stato socio-culturale?. Non saprei dirlo con esattezza, ma esiste… ne siamo tutti coinvolti. A volte bisogna rinventare l’essere se stessi e adattarlo a quello che ci capita tra le mani. È una dura lotta!! La lotta del ribelle appunto.
Senza volerlo (mi è stato detto), sembra che io abbia imitato come idea il protagonista de “L’uomo senza qualità” di Musil, a quanto pare un personaggio passivo che vorrebbe e desidera ma che si arrende alle fatiche della vita. Marcel ha le migliori intenzioni, almeno
Ideologiche filosofiche, viene rapito da quello che legge, ma riuscirà a metterlo in pratica davvero?
mi vado a cercare il testo di cui parli ;)