di Giusy Gaetani Liseo
Più che la pacata e poco ostentata scelta di Clorinda che mi era stata comunicata tramite sms, fu il messaggio della sorella Matilda a convincermi a tornare. Si trattava di un testo WhatsApp spezzato e non troppo lungo ma apparentemente prolisso. Senza incertezze e con molta foga, come era solita fare, argomentava senza sosta delle svariate vicende accadutele di recente. Infine, si scusava che non si era fatta sentire molto nell’ultimo mese, anzi per niente, e prometteva che, se io fossi tornata il 4 marzo, ci saremmo viste e avremmo discusso delle nuove scene musicali dell’elettronica e di altre accozzaglie pseudo intellettuali, e da lì ci saremmo messe d’accordo per nuovi importanti, e poco realizzabili, progetti di viaggio.
Gli scambi così istantanei e fulminei fecero sottoscrivere a tutte e tre il patto di prendere un aereo e di incontrarci in quello che sarebbe dovuto essere il punto più vicino a tutte: l’aeroporto di Bologna.
Questo scambio simil-epistolare era l’ennesima prova di come siano diverse le loro capacità di persuasione nonostante fossero gemelle. Identiche fino alla radice del capello, Clorinda era come la pizza margherita e Matilda quella capricciosa; la prima stava per concludere un dottorato in Lettere Classiche, la seconda aveva mollato la carriera universitaria e si era data alle ripetizioni. L’una in maniera velata mi voleva in vacanza con lei a Madrid, l’altra mi voleva prepotentemente giù a votare e a passare del tempo nella “Capitale”.
Quando venne il giorno atteso, con fatica e grande prova di coraggio nel viaggiare sul ghiaccio (erano giorni che nevicava ininterrottamente in tutto il Nord-Italia), ci ritrovammo davanti al tabellone che indicava i voli e i loro relativi gate. Due giri per i negozi, e poi la notizia che avrebbero cancellato alcuni voli, tra cui i nostri.
Immediatamente si creò una fila enorme in biglietteria. Con mente lucida preferimmo prenotare un nuovo volo tramite i nostri telefoni: il primo utile per arrivare a destinazione.
Bivaccammo come novelli clochard in una di quelle panche d’attesa in aeroporto. La possibilità di prendere sonno era negata dalla scomodità e così, mentre seguivamo su uno degli schermi televisivi del bar accanto l’alternarsi dei politici, Matilda prese parola:
“Ma guardateli, hanno ancora il coraggio di farsi vedere in tv. Oggi alcuni miei colleghi dicevano che non avrebbero votato, ma vi rendete conto? Anni di conquiste buttate al vento. Dobbiamo arginare i nuovi fascismi, il voto è l’unica arma che ci è rimasta per esprimere democrazia dal basso. Quanto avrei voluto esserci al corteo antifascista degli altri giorni! Ai valori della resistenza dobbiamo aggrapparci, come disse Pasolini, la Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratiche-rivoluzionarie del popolo italiano. Cosa ci è rimasto per prendere in mano l’Italia?”
Non era facile per me contrappormi a queste sue opinioni, in primo luogo perché la sua cultura politica era superiore alla mia. Per di più conosceva meglio di me il buon Pasolini che aveva accennato nei suoi ragionamenti.
Un attimo di tregua e mentre ci guardavamo Clorinda disse in modo inaspettato: “Non scrutate me, lo sapete come la penso: il mio voto è inutile per questo ho deciso di non votare. Sono sicura che chiunque salirà al governo siamo destinati ad una nuova deriva dittatoriale, il qualunquismo e il populismo trionfano.”
Il silenzio calava tra noi come la massa gelida di quelle ore.
La notte passò più in fretta di quanto ci aspettassimo e venne il momento di avviarci ai nostri differenti aerei. Clorinda ci salutò, la sua improvvisa allegria, che non le si addiceva proprio, ci fece per un momento invidiare la sua scelta.
“Buon divertimento e, mi raccomando, scrivici quando arrivi eh, altrimenti io e nostra madre saremo costrette a chiamare Chi l’ha visto!” le disse la sorella Matilda.
Guardavo il meteo sul telefono: zero, dieci, venti gradi da nord a sud; zero, dieci, venti centimetri di acqua da sud a nord. L’Italia era divisa in due, anzi in tre parti. Erano queste le uniche considerazioni che riuscivo a fare dopo quell’estenuante attesa e mancato ristoro sulle panche rosse metalliche. Forse erano le uniche statistiche di cui io fossi più capace in quel momento. Preferii perdermi in elucubrazioni metereologiche piuttosto che politiche. Dopo gli accesi confronti o, meglio, dopo il monologo di Matilda, presagivo un angosciante avvenire che era meglio sottacere.
Appena seduta a bordo, si avvicinò un carabiniere che aveva un viso pulito che trasudava onestà. Da ogni suo gesto si percepiva la devozione totale a un ideale. Era talmente gentile che, nonostante fossi già seduta nel posto corretto, mi concesse il suo posto lato finestrino permettendomi di godere di una vista magnifica al decollo: le colline emiliane bianche interrotte da leggeri contorni scuri definenti gli appezzamenti di terra.
Mi addormentai sfinita e, neanche il tempo di compiacermi dell’esistenza di persone, come il carabiniere, che credono fortemente in qualcosa, mi risvegliai mentre l’aereo stava atterrando.
Messo piede sulla nostra “patria”, respirai la brezza marina e mi promisi di smettere con i ragionamenti di un certo peso e di godermi la leggerezza e la solarità della mia terra. L’unica cosa che riuscii a pensare fu: “Matilda, questa volta non c’è stato l’applauso all’atterraggio, te ne sei accorta?”
E lei: “Già, arrivati a Palermo lo fanno sempre!”.
Dialoghi e stati d’animo condivisibili :D