Siccome i luoghi a volte generano dipendenza in tutte le loro forme (non importa che siano brutte, belle o poco gestaltiche), prima o poi in un posto che ha parti di te torni a rifugiarti e o vai ad ascoltare cosa c’è, cosa cambia, come si sta.
Avevo sentito delle questioni sulla Vucciria, delle con-fusioni intrinseche alle proteste pro e contro Uwe e delle partenze o arrivi che dir si voglia, dei progetti di riqualificazione, di perdite e di rinascite e di restauri. Mi ricordo anche di un certo muro di qualche anno fa. Nulla di tutto questo mi ha convinto, ma stupito sì per la forza con cui mi è arrivato in pancia. E non perché il bene o il male stia per forza da qualche parte, ma perché mi arriva il peso dell’interesse. Non lo so di chi, ma penso a quella volta che per le viuzze mi toccarono il sedere con fare maschilista o della notte in cui un amico fu inseguito e malmenato “per il gusto di” o ancora a quella sera in cui vidi una lite feroce sedata “con lo sguardo” da una persona di “passaggio”.
Oggettivamente, io la Vucciria non la conosco bene, soprattutto non la conoscevo quando era un mercato verace; però conosco l’odore delle carni e dei pesci da strada, il gusto delle rascature del paninaro pazzo, il lippo dei pavimenti e l’appiccicume poetico dei tavolini di piazza Caracciolo; ricordo pure il sudore delle danze a piazza Garraffello e i brindisi infiniti alla Taverna Azzurra, il riflesso decadente e desideroso dei ferri arancio dello Schangai e i visi smarriti/affascinati dei turisti. Conosco, soprattutto, la me che ci stava bene e l’invasione subita da questa stessa me dalle emozioni dell’altra sera, quelle arrivate a piazza Garraffello di fronte al deserto, alla polizia e ella scritta “Durex”. Quella me si è chiesta cosa stia incappucciando Palermo sotto questa scritta e cosa Palermo stia evitando di concepire. E ancora, su quali confusioni (o repressioni? o forse attese) si stia annacando. Vorrei capirlo, ecco, perché è la mia città.
E ciò nonostante, io non lo so cosa sia giusto e cosa no. Non credo che un restauro di cadenti palazzoni sia il demonio, e non credo che aprire localini che chiudono il giorno dopo sia l’affare del secolo. Credo, semmai, che dietro ai giri di soldi, soldini e soldoni dovremmo fermarci e chiederci qualche perché. E credo anche che in Vucciria qualcuno, che sia Uwe, che sia la politica, che sia il cittadino, che sia il restauratore di turno, il venditore di pesce ammalorato… poco importa… Credo che in Vucciria qualcuno abbia nel tempo perso di vista la comunità, l’amore per i vicoli, l’idea che anche quelli sono noi e che noi siamo una Vucciria collettiva da filodiffusione, sorrisi, chiacchiere e scambi. Per questo non mi piace l’idea di non esserci andata per troppo tempo. Per questo mi piace leggere di comitati civici che cercano di amarla, questa città, invece di farci affari vuoti di “palermitanitudine” (di quella buona, almeno; non di quella che ti tocca il culo a tradimento!).
Vucciria è, nei miei “(bi)sogni”, con-fusione nel senso più creativo di insieme di teste, di cittadini e di chiusure/aperture che lì convergono e si scambiano idee, progetti, passati-presenti-futuri. Questo credo che sia mancato: un intento comune di tutti. Io non lo so chi non vuole (ri)trovarlo, ma queste assemblee pubbliche di cui mi arrivano gli inviti mi sembrano bellissime solo solo per lo sforzo comunitario di incontro che esprimono, per l’idea che hanno che anche Vucciria significa Palermo. Innegabile.
Bellissimo!
Grazie Cri, sono irriducibilmente romantica verso Palermo… E comunque in Vucciria dovremmo andarci insemmula!
Sì ma orario aperitivo però.