Quel maledetto rilievo impari si ergeva su tutto. La specchiera ovoidale glielo rimandava ogni mattina. Era uno specchio color nocciola, avviluppante e a grappolo d’uva nera. L’idea era sempre di avvicinarsi ad esso lentamente: faceva parte del rituale. Cauta, pinzetta e arnesi vari in mano, apriva così le danze della giornata.
All’inizio, per ogni inizio, stava lì a spellarsi, spelarsi e a raschiare i residui della sua pelle, della sua normalità. Soprattutto su quel maledetto naso che si ergeva su tutto tipo pene in erezione che domina forzosamente un intero film porno. Per tutto il resto c’era il fondotinta matte, il correttore ipercoprente per le occhiaie, la cipria di riso tono su tono, il fard che faceva spuntare lo zigomo dove lo zigomo non c’era, le matita kajal per dare il giusto spessore agli occhi da polpo e personalità allo sguardo, l’illuminante per fingere – appunto – strategica luminosità, l’ombretto accattivante giorno o notte, il rossetto permanente da donna che non deve chiedere mai, le fibrine vegetali di ultima generazione per allungare e inspessire le ciglia quanto vuoi tu. Non c’era viso che tenesse! Quello era un vero trucco.
Ma il naso era la realtà, ed era un naso brutto, cioè non cyraniano, né peculiare: solo di una bruttezza anonima che si dipartiva dalla fronte con una curva rabbiosa unendo la faccia sul suo dorso e scendendo inferiormente in un rilievo malamente appuntito. Alla base, come se non bastasse, giacevano due narici piriformi, sdillabbrate e oblunghe, una più tonda ed una più lunga, che incombevano sulla bocca. Le pareti laterali erano adipose e bitorzolute, a tratti unticce. Insomma, su quel capolavoro di merda valeva la pena perderci le ore, in barba agli impegni capitalistici; lo spremeva, lo tamponava e lo ridisegnava: la sostanza non cambiava. Inoltre, bisognava ispezionare per bene anche il naso interno, per cui usava specifici tamponi acquistati ad hoc: via le impurità mucose, per Dio! Poteva cadere il mondo, scoppiare la guerra nucleare Usa-URSS, poteva essere licenziata, veder morire il gatto o tre neonati con la coda dell’occhio, ma lei spremeva, tamponava e ridisegnava fino a farsi uscire il sangue e a scarnificarsi la pelle. Eppure, lui era l’unica cosa fottutamente reale su cui non riusciva a intervenire.
C’è che quella polizza prima o poi sarebbe scaduta e lei avrebbe fatto una bella operazione accorciante e modellante. Prima o poi sarebbe scaduta, sì. Prima o poi. E lui sarebbe stato alla francese. Intanto si teneva le fantasie di perfezione nasale unite alle dune del deserto sulla faccia. Il deserto del Gobi lo chiamava, con tanto di rughette puntellate da granelli di nero (o punti neri) ed ogni tanto da mini-dunette ripiene (o porri) che spuntavano a sorpresa al risveglio.
Ecco: il suo naso, proprio QUEL naso, era la sua ossessione. Internet, in questo senso, era una benedizione: divorava tutorial senza perdere tempo in giornali o in petizioni on-line, sapeva tutto di come truccarlo e trattarlo, di come renderlo meno grasso e lucido, di come evitare che in estate spellasse, secchetto e rugoso, di come camuffare porri e cicatrici scomode.
Ma i corsi di auto-trucco funzionavano fino a un certo punto: sotto c’era cartilagine dura tipo musso e carcagnolo che avrebbe regalato aggratiss agli angoli della strada pur di togliersela di dosso.
Un’ottima soluzione alla fame del mondo, pensava generosamente mentre studiava le forme migliori, sognava profili da favola perfettamente instagrammabili e sbirciava le facce degli altri.
Per esempio, sabato era incappata in Amici di Maria De Filippi. La De Filippi aveva vinto pure un Oscar, eppure bucava lo schermo piatto di punta mentre la Celentano diceva a Lauren quanto fosse grassa e che una ballerina non può essere così grassa… Sì, saranno argomenti di successo, l’eterna sfida tra i grassi e i magri, robe capitali o da Ciao Darwin, sì. Ma inconcepibile il naso della De Filippi in mezzo ai suoi occhiali tondo-intellettualoidi e con la rughetta spaccamontagne al centro a tipo culo.
Quello degli uomini, poi, era un vero flagello; li incocciava tutti con un naso aquilino dal dorso convesso e dalla punta in giù, terribilmente a uncino o a becco d’aquila che dir si voglia. Mai profili greci, augustei o francesisticamente socratici! Una volta che ne aveva trovato uno decente, al primo appuntamento si avvide che con le forme gestaltiche ci sapeva fare, ma con le pinzette evidentemente no, dato l’orrido pelo nero di due millimetri che sostava sull’ala est del suo orpello nasale.
E la giornalista Rai che aveva annunciato gli attacchi chimici in Siria? Quella non lo sapeva neanche cos’era la pulizia a ultrasuoni! Dallo schermo HD si vedeva benissimo che aveva il naso sudato! Le aveva anche scritto sulla pagina Facebook di mamma Rai: bastava sacrificare 76 euro al mese per la pulizia combinata al vapore & ultrasuoni! Questo sì che era tempo ben impiegato, non quello perso sulle bagarres politiche internazionali!
Il suono “e ticche, e tacche” leggermente metallico della spatolina a ultrasuoni era una catarsi in grado di riportare a fantasie primarie in cui omini armati di martelli pneumatici ri-costruiscono facce a piacimento: orgasmo da liberazione e che Dio benedica quella santa donna dell’estetista che estirpa impurità! Una vera santa donna, altroché.
C’è anche da dire che, da vera donna di chiesa, lei non era egoista sui suoi trucchetti: li aveva suggeriti anche alla collega col vizietto del volontariato che sul naso aveva un neo con le vibrisse fuoriuscenti come i gatti: brrr…! La guerra in testa dallo schifo mentre quella sorrideva mettendo in evidenza il suo porro nasale. Chi ci riri? pensava. Volontariato…?!? La rinoplastica mi monderà dai peccati, altroché!!! Altro che bimbi del Giardino di Madre Teresa.
«Tutti i vizi, quando sono di moda, passano per virtù», diceva mio padre mentre tracannava vino rosso, e lei ’sto vizietto dei bambini ce l’aveva eccome! Ci martellava il cervello e stanotte era già stata un incubo per via del setto nasale deviato e del muco giallo a volontà; e questo, alla faccia del Giardino di Madre Teresa, da quando era bambina e un pugno le aveva sfregiato la faccia: setto nasale fracassato e «Sì, ti scuso papà, ti scuso, ma portami in ospedale. Perché no? Dopo il Tg? Ci sono altri sbarchi? Ci invadono? Ma chi? Per favore pà, non respiro, non riesco a respirare!». Dell’Ingrassia non ne parlavano bene e si sapeva a Mezzomonreale. Ma quando si ricordò di lei per via del divano macchiato di sangue, non ci pensò due volte e la portò nel posto più vicino: lui non guardava al di là del proprio naso. La tumefazione era enorme e la coda in Pronto Soccorso pure. Erano a Palermo, la operarono con comodo ed ebbe in dono questa cacofonia per facce. Lui non guardava al di là del proprio naso e così le aveva “donato” questo, ma lei sì. Lei al di là ci guardava e lo giurò: lo avrebbe eliminato e questa mattina, come le altre in cui la faccia diventa un trucco e il naso resta realtà, lei lo odia con tutte le sue forze mentre invidia Michael Jackson e non sente niente se non che i missili di Trump li userebbe per smorfiarsi tutta e farsi un buco in mezzo al viso.
Non le importa di quanti bambini muoiono di fame o soffocati! This is “moda”! Vizietti politici per oleodotti danarosi! Non le importa del fottuto sacco da 50 chili di riso a 5 euro in Negrolandia che sfama tutto il villaggio! E non le importa neanche della prostituzione nigeriana che attraversa piano la strada mentre è in ritardo per via dello specchio. «Torture?!? Che ne devi capire? Attraversa e smuoviti tu, piccola puttanella fortunella della Favorita, bella nerella e col nasino negro all’insù. Perché… che ne sai tu?».