di Lucia Immordino
ì·ra
sostantivo femminile
Moto di reazione violenta, spesso rabbiosa, e per lo più non giustificabile sul piano umano e razionale: avere uno scatto d’ira; lasciarsi trasportare dall’ira; secondo la dottrina cattolica, uno dei sette vizi capitali.
Prima puntata
Tutt’intorno era il caos: chi gridava, chi spingeva violentemente, chi correva ai bordi della strada sotto il sole feroce del primo pomeriggio.
Lei era lì, immobile in mezzo a quella confusione nel suo nobile contegno, chiaramente incinta ma minuta, aveva il volto coperto da un velo rosso che lasciava intravedere gli occhi nocciola e ampi, lucidi a causa delle lacrime di profondo dolore.
Accanto a lei una bimba e un ragazzino più grande.
La folla riprese ad inquietarsi e il maschietto, afferrata la mano della sorellina in una morsa, evitò che quella la inghiottisse.
Maria Maddalena inciampava mentre cercava di inerpicarsi per la collina sotto un cielo divenuto inspiegabilmente nero, poi fu illuminata da un fulmine che lo squarciò: il suo obiettivo era di raggiungere Lui.
La pioggia era diventata torrenziale quando nell’aria riecheggiò il rumore di una mazza contro un grosso chiodo.
Arrivò sotto la croce e alzò gli occhi belli verso l’amato, ma subito dovette sorreggere Maria, sua madre, che era svenuta dal dolore.
Altre donne, anch’esse avvolte in un velo cremisi, erano sotto la croce e accanto a loro un centurione romano che sembrava proteggerle.
Il pianto di dolore di Maria Maddalena si acuì quando un altro graduato romano, ostile, conficcò la sua lancia nel costato di Gesù da cui ne uscì sangue e acqua.
Solo due uomini erano presenti sulla collina del Golgota oltre alle donne; uno vecchio, dignitoso, l’altro giovane che sembrava in procinto di cadere: Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea.
Furono loro ad estrarre i chiodi e a togliere Gesù dalla croce, a trasportarlo su una lettiga avvolto in bende di lino fino al sepolcro più vicino, quello di Giuseppe d’Arimatea: Gesù non era solo il suo maestro, ma anche suo nipote.
Giunti al sepolcro, Maria Maddalena lavò le ferite del suo sposo, lo cosparse di balsami e unguenti.
Lo vegliò finché, con la luce dei primi raggi di sole del sabato mattina, lo avvolse nel lenzuolo funebre. Poi, stremata, crollò.
Non potendo stare ancora lì nelle sue condizioni, gli uomini la condussero a casa di Giuseppe d’Arimatea con la stessa lettiga sulla quale avevano trasportato il corpo di Gesù.
Luca, il medico, era preoccupato: Maria Maddalena, incinta di parecchi mesi, aveva il respiro debole.
La mattina successiva Gesù le annunciò la sua resurrezione: non vi era più nulla dei suoi resti terreni.
in·vì·dia
sostantivo femminile
Malanimo provocato dalla constatazione dell’altrui prosperità, benessere, soddisfazione; uno dei sette vizi capitali, secondo la dottrina cattolica (opposto alla virtù della carità).
Seconda puntata
“Sono la voce che grida nel deserto” diceva il Battista in modo enigmatico, immerso nel fiume Giordano.
I messi sacerdotali gli si avvicinarono e gli chiesero di essere battezzati, in realtà volevano parlare con lui, ma Giovanni rispose loro di pentirsi e ritornare un altro giorno.
Quando quello successivo manifestarono pentimento, il Battista li battezzò.
Non andarono via, piuttosto aspettarono fintanto che la folla si diradò per esporgli il loro progetto: sposare Maria, figlia di Beniamino, la promessa di suo cugino Easa.
Yeshua arrivò presso il fiume Giordano e l’incontro tra i due uomini più famosi di quel tempo attirò tanta gente: “Vieni da me per ricevere il battesimo? Dovrei essere io a riceverlo da te, poiché tu sei l’eletto da Dio.”
Gesù rispose: “Cugino, è così che deve essere.”
Allora Giovanni si rivolse alla folla ed annunciò: “Dopo di me verrà quest’uomo, che è il preferito rispetto a me, poiché egli è stato scelto prima di me.”
Le nozze tra Giovanni Battista, della dinastia sacerdotale di Aronne e Zadok, e Maria, figlia di Beniamino, si svolsero a Cana, in Galilea.
Erano presenti Easa e Maria, cugina di Elisabetta madre del Battista morta da diversi anni, che quando si accorse che gli ospiti non venivano serviti come si conveniva, prese la situazione in mano, andò dal figlio e gli disse: “E’ finito il vino.”
Easa le rispose: “Che ho da fare con te, o donna!”
Maria lo guardò, poi chiamò i servi e diede loro istruzioni: “Fate ciò che lui vi dirà.”
Yeshua chiese loro di portargli sei giare capienti piene di acqua fino all’orlo, chiuse gli occhi, recitò una preghiera e passò le mani su ciascuna di esse, poi dispose che i servi versassero il contenuto nelle coppe degli invitati: ne uscì un vino rosso, corposo e dolce.
Easa ordinò ancora ad un servo di portarne una coppa a Caifa, che alzò il calice in direzione di Giovanni e lo lodò per l’ottima qualità del vino, ma né l’uno né l’altro capirono cos’era successo.
Non passò molto tempo che tutti in Galilea seppero cosa accadde alle nozze di Cana.
Subito dopo il matrimonio, Giovanni impose a Maria le sue regole: le era assolutamente vietato entrare in contatto con gli insegnamenti dei nazareni, andare a far visita alla Grande Maria, madre di Gesù, e mostrarsi in pubblico nei luoghi dove predicava Easa.
Maria, abituata alla benevolenza, provò a discutere la cosa, ma assaggiò la prima sberla del marito che la lasciò a Magdala quello stesso giorno e se ne andò in giro a predicare: la stupiva il fatto che sia Easa che Giovanni annunciavano la stessa cosa ma totalmente diversa ne era l’interpretazione e l’applicazione: Giovanni inquietava, minacciava e terrorizzava i peccatori; Gesù, invece, parlava di opportunità a chiunque avesse aperto il proprio cuore a Dio.
su·pèr·bia
sostantivo femminile
Radicata convinzione della propria superiorità (reale o presunta) che si traduce in atteggiamenti di orgoglioso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri: montare in s.; s. diabolica; prov. la s. è figlia dell’ignoranza; prov. la s. andò a cavallo e tornò a piedi; fam., anche a proposito di un contegno apparentemente distaccato dovuto a timidezza o introversione.
Terza puntata
Salomè indossava vesti splendenti e collane e catene e bracciali d’oro: “Tu sei il gioiello più luminoso del mio regno, Salomè! Vieni e balla per noi.”
“Non riesco a danzare quando ho il cuore appesantito dalle dicerie di un certo Battista su mia madre Erodiade.”
“Costui sembra più un ribelle che un profeta, meglio occuparsene immediatamente.”
Erode chiamò le guardie e ordinò loro di arrestarlo.
“A quale danza vi piacerebbe assistere stasera, mio re?” sussurrò Salomè al tetrarca.
Giovanni Battista si rivelò un prigioniero scomodo: continuò a predicare dalla prigione e il suo mito e la sua influenza aumentarono al sud, mentre al nord del Giordano e in Galilea svolgeva la sua missione il cugino Easa, nazareno, uomo carismatico: curava gli infermi, restituiva la vista ai ciechi, guariva le malattie degli anziani, scacciava gli spiriti maligni e i cattivi umori dagli afflitti, predicava la parola della Via e parlava alle genti della luce di Dio.
Il legato romano che mesi prima aveva assistito all’arresto di Giovanni Battista si lamentò con Erode Antipa del fatto che il profeta insultava Roma ogni giorno dalla cella in cui era rinchiuso e lui glielo permetteva.
Il tetrarca si difese dicendo: “Questa regione è invasa da sette di esseni e di discepoli che ritengono il Battista un profeta. Giustiziarlo significherebbe alimentare le rivolte!”
“E tu, cittadino dell’Impero Romano e re, permetti che costoro condizionino le tue decisioni?”
Il re a quelle parole convocò i centurioni: “Giustiziate subito il profeta. Che venga decapitato!”
Giovanni, prima che fosse ucciso, chiese che venisse recapitato alla moglie un messaggio: ella avrebbe dovuto pentirsi.
Erode fece infilzare la sua testa su una lancia e comandò che fosse esposta davanti al cancello principale del palazzo.
Dopo qualche mese nacque suo figlio Giovanni Giuseppe.
Successivamente alla morte del cugino, Yeshua fu sollecitato a prendere una decisione: si recò perciò nel deserto dove incontrò gli esseni e i discepoli di Giovanni che non ebbero dubbi nell’accoglierlo come nuovo messia dato che apparteneva alla stirpe di David.
Al suo ritorno si recò a casa di Lazzaro e gli chiese di parlare con sua sorella essendo ella una vedova: “Maria, vorrei che diventassi mia moglie e mi dessi il permesso di crescere Giovanni come se fosse mio figlio”
“Ma non posso permetterti questo: ci sono uomini che mi incolpano della morte di Giovanni, mi odiano e mi chiamano peccatrice!”
“Non fa alcuna differenza per me. Tutti quelli che mi seguono sanno la verità e noi insieme la insegneremo.”
Easa e Maria si sposarono con una piccola cerimonia sulle coste di Tabga.
La notizia del matrimonio si diffuse rapidamente e migliaia di persone raggiunsero le coste della Galilea.
Sul finire del secondo giorno Yeshua, per sfamare più di cinquemila persone, moltiplicò pani e pesci.
Adesso Maria aveva una posizione di potere perciò cominciò ad essere nota con il suo nome e avrebbe regnato per sempre come la figlia di Sion, la Torre del Gregge, la Migdal-Eder: il suo era il nome di una regina ma la gente la chiamava semplicemente Maria Maddalena.
Ella ebbe da Easa, Sarah Tamar e il piccolo Yeshua che nacque dopo la morte di Gesù.