A piazza Magione non ci arrivo mai per caso, ma per caso vedo lui o loro: dietro i cumuli di munnizza, alle spalle dei vari posteggiatori abusivi e a 200 metri da Manifesta, ci sono questo ippopotamo prima e questo ghepardo/sciacallo poi. Mi colpiscono. Innanzitutto perché stanno belli grossi e indiscreti a dire la loro dietro i cumuli. Dopo di che perché mi devo fermare a pensare per capire se il messaggio è positivo o negativo, e quella sera avevo solo un brindisi di compleanno.
Che cosa mi vuole dire in una sera di mezza estate la mia città non è chiaro. Come il resto, d’altronde: non è chiaro se stiamo crescendo o no, se abbiamo voce in capitolo o no ed eventualmente in quale capitolo e soprattutto se questa voce vogliamo (ri)prendercela, oltre a scriverla sui muri… la voce che non c’è o che stenta ad esserci. Non è chiaro se chi ha creato quelle scritte abbia voluto farlo per dare una speranza dietro i rifiuti (“c’è sempre qualcosa dietro”) o se non avesse previsto il loro stanziamento. Non è chiaro manco se i due murales siano in sequenza, l’uno a smentire l’altro o, meglio, ad incoraggiarlo. O che siano frutto di mani e menti diverse che si ignorano a vicenda, ognuno dicendo la sua? …Come sempre; sarebbe come sempre.
Rimango interdetta di fronte alla perenne verità della lotta; e ovviamente non intendo la lotta rivoluzionaria e manco quella di classe. Mi riferisco a quella quotidiana dei conflitti psichici tra evoluzione e stasi, tra porti aperti e menti chiuse (o viceversa). E poi ci sono le eterne domande cittadine: chi siano noi palermitani? Gattopardi che fingono inguaribilmente di cambiare per non cambiare un cazzo? Leoni fieri e selvaggi? Sciacalli e iene che azzannano alla gola alla prima occasione buona? O siamo antirazzisti?
Io non credo che qualcuno sappia rispondere per tutti, forse per sé semmai; forse. Ma una cosa disillusa, di fronte a questi triangoli di alter ego che si rispecchiano a vicenda, la credo: Palermo non è una comunità: forse troppo grande, forse troppa miseria eterogenea, forse troppa solitudine e futti futti. Non essendo una comunità, Palermo resta bella, ma contraddittoria, ed è il quadro della Magione nella sera di un compleanno qualunque che ritrae, tra gli altri co-attori, munnizze, abusivi, Manifesta, l’ippopotamo e il ghepardo/sciacallo. Palermo, insomma, non sa chi è, né qual è il suo messaggio, quello che dovrebbe correre sui muri come la notte o che dovrebbe alzare la voce contro il razzismo. E così, si fa del male. Statica, in questo, come tutti i gattopardi che siano.
Credo che questo aspetto di Palermo sia il motivo per cui è così bella!
Forse, e se è un “forse sì”… magari è perché siamo umanamente attratti dall’ambiguo… dalla non scelta…
E potremmo chiederci se è sempre necessario scegliere, sì. Ma non se essere comunità o meno, penso…
Come trovare alcuni “Ognuno a so’ casa” che poi ridono, scherzano e lavorano con i vicini nordafricani. Incoerenti come la nostra terra. Una forza e la sua opposizione, un protagonista e un antagonista, una meta e le difficoltà per raggiungerla. La neve sui fichi d’India e l’agrodolce della Caponata. Questa è bellezza. E Palermo è bella perché non si arrende. Non tutti almeno. E un atto vandalico, imbrattare un muro, diventa arte, cultura e un messaggio di speranza.
Bel commento e belle immagini, mi piacciono (: