DE*GENERAZIONI – Lo stato dello Stato

Sono le 24 e qualcosa e difficilmente si sa cosa pensare quando sei sbattuliato da ore di caserma in caserma: qui ti rimbalzano random invece di dire che dopo le 20 a Palermo solo una caserma raccoglie denunce: “lo sanno tutti”, aggiunge chi finalmente me lo dice. Quando ci arrivo, 2 ore fa, mi dicono che è meglio che io vada, cercano di dissuadermi, di sottolinearmi con persuasione che dentro c’è un caso grave e che chissà quanto tempo ci vorrà. Intravedo il maresciallo: è già in pigiama. Io d’altronde la mia denuncia posso anche non farla, tanto non serve a niente, oppure posso farla anche dal nord, visto che domani parto. Così dicono. 

“A Palermo non ci torno più”. Me lo dice mangiando fragole o pop corn, in attesa della querela che vogliamo sporgere. Non so, fragole o pop corn; metaforici, s’intende, ma la crudezza della cosa in un momento così greve risulta sardonica e mi dissocio dal mio corpo cercando di guardare tutto dall’alto e di sentirmi meno coinvolta nella solitudine cosmica che mi sembra di vivere. “Non ho più motivi di tornare a Palermo”. Non è che avrei voluto che aggiungesse “tranne te”… A una certa età si diventa tutti grandi ed io di certo non l’ho mica raggiunto al Nord, non ci sarebbe stato motivo di abbandonare la mia strada. “Manco a Natale?”, chiedo già rassegnata. “La mia vita ormai è là”, risponde al posto di un no. Ha ragione, ma il Natale… Mi mostra le mura scrostate del luogo in cui siamo; “lo stato dello Stato”, dice. Il senso di decadenza è condito da scotoloni vuoti e aperti, da sedie di plastica (poche) dentro una stanza (piccola) già sporca e poco accogliente di suo: non sa di nessuna tutela, ecco. E quindi manco a Natale. Meglio dimenticare in effetti, che ci lotti a fare. Chi dovrebbe proteggere i deboli si perde in ferie infinite da gente fortunata che può ignorare gli altri o deciderne la salute in base a parametri economicisti e di comodo. Chi dovrebbe saperne di legge ci rimpalla di collega in collega o ragiona approssimativamente, in base al peso del portafogli. Chi non ne sa nulla arranca, pur non essendo stupido. Chi è buono, soprattutto, arranca, pur non essendo stupido. Ti tagliano corto con frasi come “la giustizia non è giusta”, con cui si sentono giustificati a non fare del loro meglio per te, e così oggi siamo qui per denunciare 10 anni di abusi, ma non è solo quello.

Lui ha le occhiaie e non è frequente. Io come sempre mantengo la calma e la chiarezza, ma avrei preferito scoppare a terra svenuta per non dover essere sempre lì e con calma e chiarezza. Ieri ne hanno riso di questo, come del mio provare amore. Gli ingegneri del foro ne hanno riso, invitandomi istrionici e tra il ludibrio generale a leggere Topolino, mentre io resto troppo educata: troppo. Oggi siamo lì a denunciare che non abbiamo idea di come tutelarci in questo schifo in cui si è perso il senso, il salubre, l’estetica interiore ed esteriore. Viviamo orrori etici ed estetici. Domani su 50mila persone in centro e altrettante birre vendute se non di più, per chilometri mancheranno i cestini e ammireremo aggeggi di pubblico arredo distrutti non dagli agenti atmosferici; ignoreremo tutto ciò in nome di una giornata di gioia e di pace e di uguaglianza – viva dio! – ma queste cose è lì che resteranno domani. Altrove Rocco Casalino non dimenticherà di non essere un politico e di avere un cervello che va a tv, criceti & semi di girasole. La politica è la stessa, in fondo: nessuna garanzia di salute, qui come lì. In mezzo al mare, come sulla terra. “Siamo tutti sulla stessa barca”, recitano dei volantini che incitano alla vicinanza umana. Mi commuoverei… Durante il pride siamo tutti sulla stessa barca… ma prima e dopo? Non mi pare che i nostri politici siano sulla mia stessa barca.

Io la politica, questa sconosciuta, non riesco a pensarla con le cravatte. La politica siamo noi, ed io non sono mai stata molto “convenzionalmente politica”, ma la gente scravattata, con la forst in mano e informata sulle questioni mi ha insegnato a parlare di rispetto umano e di dignità reciproca ed a scandalizzarmi non per un “minchia” folkloristicamente illuminato, ma per tutti quelli che ti sputano addosso e lanciano merda in sigarette e caramelle sui miei stessi marciapiedi. Per tutti quelli che “mafia = merda = schifo = no” lo dicono agli astratti furori, ma non a chi nasconde, diffama e strumentalizza genitori, nipoti e fratelli per brama di piccioli&potere, pur non stando dentro un film.

Io oggi non ho più fiducia nel prossimo.
Non c’è legge, se non quella del più forte e del più fango.
Non c’è umanità, se non quella decadente dell’Io, che è scrostrato e muffito come queste pareti.
Io sento puzza e diffido; sono vittima di questa patologia relazionale, lo ammetto.

A volte poi mi sorprendo: spero nelle contaminazioni, negli sguardi estasiati che vengono dal nord, dal sud, dall’ovunque, nell’aria pura delle montagne di Baida sotto cui scrivo. Spero nella speranza. Spero con tutta questa rabbia arresa che sento montare dentro che si riesca a recuperare l’estinto neurone della purezza, della bontà, dell’empatia. Io sono te e tu sei me, io potrei essere te e tu potresti essere me. Perché mi fai questo? Non se lo chiedono, non ce lo chiediamo. Siamo una razza della vergogna.

A volte mi sorprendo a smettere di sorprendermi. Ma dissuadetemi, vi prego: dissuadetemi e ridatemi il natale normale, quello con l’albero finto perché la natura va rispettata, quello in famiglia quando c’erano le famiglie che non avevano il fine di farsi le scarpe tra loro, quello in cui alle 24 mi ritrovavo con gli amici a messa e dopo il dovere veniva anche il piacere dello scambio di doni e di affetti; quello in cui 2 lauree contano più della cattiveria ignorante ed in cui la legge è per i deboli e non per il più forte e non si rischia di aver indicata la via per il Mulino bianco. Sfottono, loro. Ma loro siamo anche noi, e il dolore umiliante viene anche da questo. Non si gode nel denunciare, sarebbe bello sapere cosa è la prevenzione, avere dei valori. E non ditemi ridendomi in faccia che deraglio: questo è stato dello Stato. …Ma dissuadetemi pure.

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