Durante l’ultimo anno di università vivevo in un appartamento al quarto piano senza ascensore e non potete immaginare che strazio salire la spesa!
Sotto casa non trovo mai parcheggio, la strada è piena di garage e se posteggio lungo la via i proprietari non possono entrare o uscire le proprie macchine.
Quando torno nella mia città mi piace dedicare un po’ di tempo a me stessa, uscire la mattina presto, scendere il cane, fare colazione al bar sotto casa…
Ok, magari i lettori del sud non troveranno tali proposizioni bizzarre ma i popoli del nord potrebbero storcere il naso. Ultimamente c’è stata una guerra sui social riguardo un’affermazione dell’Accademia della Crusca – poi smentita, o meglio spiegata – che legittimava l’espressione “scendere il cane”. Tantissima gente del Nord Italia si è indignata per aver scoperto che i popoli del sud “non sanno” l’italiano! Come se tutti gli italiani conoscessero l’italiano!
Scendere/salire, così come entrare/uscire (e altri verbi di movimento quali sedere o camminare ecc.) sono dei verbi intransitivi, cioè non reggono complemento oggetto. Scommetto che la maggior parte dei commentatori facebook di link di testate online riguardo l’accaduto, non sanno nemmeno cosa voglia dire.
Bisognerebbe fare un discorso di due trimestri di linguistica e sociolinguistica per far capire alle persone che una cosa è la grammatica dell’italiano standard, un’altra è l’italiano neo standard, una cosa è l’italiano scritto (che può essere formale/informale o della neoepistolarità, cioè il web), un’altra l’italiano parlato, e così via.
Sappiate, cari amici italiani (nordisti e sudisti) che noi tutti non parliamo “italiano”. La lingua italiana è un codice vecchio, antico, studiato a tavolino da uomini polverosi e con la barba che “una volta fatta l’Italia dobbiamo fare gli italiani”. Cosa credete, che a inizio ‘900 uno di Cuneo parlasse come uno di Agrigento? Nemmeno al giorno d’oggi un girgentino e un cuneese parlano la stessa identica lingua!
A scuola si studia la grammatica dell’italiano standard, utilizzata per le composizioni scritte di livello medio-alto, tipo i temi, saggi letterari o filosofici, romanzi o articoli di giornale (anche se, visti i recenti casi, toglierei quest’ultima accezione). Naturalmente in contesti familiari o informali capita di non mettere in pratica tutte le regole grammaticali del codice linguistico o di aggiungere elementi estranei a tale regole. Nel parlato, infatti, sono più frequenti certi elementi fàtici o deittici. Inoltre, dati i nostri substrati dialettali, si verifica una “tendenza verso il centro” (come la chiamano i linguisti) tra lingua e dialetto: molte espressioni dialettali sono entrate nella parlata quotidiana di persone istruite o scolarizzate.
Quindi in merito all’affermazione di prima, ovvero “noi non parliamo italiano” la domanda è: che lingua parliamo? Potremmo definire la nostra lingua parlata come “italiano regionale”. Un italiano che segue pressappoco le regole del codice grammaticale standard ma con influenze di tipo diatopico riguardante, cioè, la zona di provenienza. Nel caso dibattuto non si tratta solo di influenze lessicali ma di interferenze di tipo sintattico.
Transitivizzare un verbo di movimento risponde, inoltre, ad una precisa esigenza di economia linguistica. Il principio di economia, in linguistica, è una teoria secondo la quale il parlante si esprime cercando di minimizzare il linguaggio per ottenere il miglior risultato funzionale con il minimo sforzo. Come diceva Eco “la lingua è ciò che il parlante ne fa”. Per cui, se una grossa percentuale di persone utilizza l’avverbio “mica”, ad esempio, quello entra a far parte del nostro italiano parlato.
In sociolinguistica, ciò che è accettabile a livello comunicativo lo si distingue da chi impiega un determinato uso linguistico. Se a dire “scendi il cane” è u zu’ Pippino di 85 anni, pescatore, tale uso linguistico non è accettato sociolinguisticamente. Ma se a dire “entra la macchina” è Calogero Benivegna, avvocato e professore universitario, la transitivizzazione del verbo può essere socialmente accettata. Perché? Perché u zu’ Pippino non ha scelta, Calogero sì: egli è consapevole – in quanto adulto con un livello alto di scolarizzazione – che la forma da lui utilizzata non risponde alle regole grammaticali del codice, ma la utilizza lo stesso per quel principio di economia linguistica.
Rassegniamoci quindi ad accogliere, nell’italiano parlato, forme quali “attenzionare”, o l’uso di “piuttosto che” con valore disgiuntivo, che tanto piace ai nostri amici del nord, quelli che l’italiano lo sanno! Ma così è, la lingua cambia, si evolve, acquisisce neologismi e prestiti e si adatta alla vita quotidiana.
Del resto, a cosa serve la lingua? A comunicare. E se per comunicare in maniera più efficace e rapida possiamo transitivizzare i verbi di movimento che ben venga l’espressione scendere il cane! Tentare di estirpare un uso transitivo dei verbi di movimento da un palermitano sarebbe come vietare l’articolo determinativo davanti ai nomi propri di persona a un milanese. Amen.
La prima frase è quella che mi ha fatto più pensare. Usare certi termini all’ultimo anno di università.