di Dora Pistillo
Ci sono suoni che evocano e rimandano ai pensieri che ritroviamo come vecchi oggetti stipati con cura affinché conservino il loro valore.
Ci sono mattine precoci e un po’ intirrizzite che rimangono chiare e limpide a lungo e sono di una sorprendente e abbagliante bellezza.
La mente alcune volte è così lucida che ogni passo avvolto nel silenzio, malgrado il distacco dalle cose del mondo, diventa una scoperta senza tempo.
Mi ricordo di te e di tanti altri volti che non so dire se conosco veramente.
L’esperienza umana che stiamo vivendo meriterebbe un diario o una registrazione almeno saltuaria. Le lezioni che ragiono per i miei studenti, la lista dei valori che cerco di coltivare, le gocce d’acqua che rimangono sul mio viso dopo averlo sciacquato con cura, i granelli di sabbia che rimangono sui miei piedi affondati nella battigia; l’odore dei tappi di sughero e quello di certe camicie indossate da chi si ama, quello della mia gatta e del suo tiepido risveglio o delle mani delle donne della mia famiglia e delle mie. L’odore della polvere e della sua evanescente permanenza.
Spesso mi ritrovo con nostalgie che non interessano a nessuno, con pensieri belli che vorrei condividere, con voglie affievolite di passeggi e passaggi nella vita oltre la superficie.
A volte penso ancora a te e ricaccio indietro con fermezza.
Sono stanca della nostalgia, trovavo belle delle cose che vedevo in te, mi emozionavano, mi facevano vibrare di una intensità che non mi sembrava possibile, che non riuscivo a esprimere, che comunque non sarebbe interessato a nessuno sapere. Nemmeno a te; ma io credo che se tu avessi ascoltato senza riempire lo spazio tra noi con cose inutili, se avessi lasciato la possibilità di esprimermi, avresti capito e amato il mio sentirti.
Forse per questo ho smesso l’arte, non importa quanto hai da dare se a nessuno intorno interessa ascoltare.
Fare, costruire messaggi, investire nella comunicazione, trovare un modo accettabile di formulare un’espressione e poi trovare solo sufficienza e la consultata e avara ipotesi che se stai bussando è solo per raggranellare vacua fama e sostentamento dorato rende stupidi e pazzi, ferisce e dilania.
È quel che è successo a me e ancora non mi abituo.
Mi sono ricordata di quando sorridesti in quel modo strano, avvicinandoti; pensai che era una trappola, che non dovevo caderci, che sarei finita a terra e sarei stata solo calpestata, invisibile al resto del mondo. E ci sono caduta. Come quando un’onda immensa si scaglia potente e ti rovescia e finisci sotto la sabbia nera appesantita come cemento. Mi ricordo l’aria fredda del mattino. E un brano dei Bonobo che gira come una giostra, intorno e dentro me. Chiaramente ho ancora scorie dentro da smaltire. Ma non so dove sei andato e non riesco a cancellare il ricordo dell’omelette che mi preparasti.