Ma-tri-mò-nio (a prima svista)

Grazie ai miei contesti formativi, ultimamente il mio occhio è caduto su un giornale, e in particolare su un articolo titolato così: “Stefano e Wilma, sposati in tv e il divorzio impossibile. «Io la amo». «Mi spiace, io no». Primo incontro all’altare, separazione negata per un vizio di forma”.
A metà titolo, la mia solita reazione di disgusto era già partita; disgusto che non mi deriva solo dalla faccenda in quanto tale, ma anche dalla ritrita questio di pubblicare su uno strumento di informAzione una notizia che parla dei vari talent show che impestano la tv, e dunque le menti dell’uomo dell’era media-pornografica. Risultato: amplificazione da impestamento su impestamento (con cui in qualche modo colludo scrivendoci un testo di pensiero sopra, sperando che ciò non aumenti di tanto l’indicizzazione della faccenda e che attivi i criceti neuronali di qualcuno!). In ogni caso, anche sulla faccenda in sé c’è molto da dire.

Che con la secolarizzazione tutti i riti, miti e garanti psico-sociali che conferivano struttura e ancoraggio alla mente umana siano andati in esilio lo sappiamo bene; e che su questo il finanz-capitalismo consumistico ci abbia inzuppato il pane con una delle più guduriose scarpette della storia attuale lo sappiamo idem. In questo processo rientra la caduta del matrimonio come “istituto giuridico o religioso con cui si sancisce l’unione di due persone”, oggi meno importante di ieri, soprattutto per il valore dato al “sì, lo voglio!”, ovvero al “sì, TI voglio!” che immagino la frase sottintendesse in un qualche altro periodo storico ed in cui il verbo “volere” sarebbe stato, suppongo, espressione di un qualche desiderio dell’Altro. Sappiamo già che oggi separazioni, divorzi e unioni di fatto sono garanzie di eterno individualismo molto più di quanto non sia una garanzia sposarsi e fare vita insieme (posto che comunque si può fare vita insieme anche senza questo rituale); mi pare infatti che la scelta del non sposarsi o dello sposarsi soggiaccia spesso all’evidenza che oggi ogni “insieme” che si rispetti impallidisce a confronto dell’indipendenza, dell’autonomia e della libertà.
Su questa già assodata complessità si innesta a un bel certo punto “cirillino in menz’insalata!”, ovvero la televisione, che si inventa un programma su ogni faccenda dell’umano essere. E cosa si inventano sul matrimonio gli autori? Pagano psicologi, sociologi e sessuologici per accoppiare gente schietta attraverso studi e test e organizzano (gratis) un matrimonio alla cieca con garanzia di marcia indietro (gratis) dopo qualche tempo di voyerismo televisivo. Indubbiamente, si tratta di geniali aggiratori di scogli insormontabili (ad es., la suddetta secolarizzazione che finge di aver sradicato alla radice i miti nuziali, la ricerca ideale del partner perfetto, l’ansia da prestazione della proposta, dei piccioli da uscire e soprattutto dell’orrifico abbandono della propria singletudine onnipotente). Ma che messaggi e codici valoriali sottende tutto ciò? Una miriade, tipo:
– Che tutto è possibile, che tutto si può desiderare, fare e sfare, ed anche facilmente (fenomeno detto in gergo “delirio di onnipotenza”); e in particolare che sia possibile, in pieno stile abracadabra, passare da schietti a maritati aggratisse (a Palermo per altro “schietta” e “maritata” sono due tipi di panini con milza – rispettivamente senza e con ricotta! – che si consumano “frii e mancia” dagli ambulanti, usanza detta più alla moda “street food”, alla modica cifra di 2 euro);
– Che, dunque, anche se non ci crediamo più come ci credevano le nostre nonne (il pensiero fisso della mia nonnina è “ma tu un t’a maritari?!?”, con tanto di faccia apprensiva e scandalizzata), esistono degli escamotage per aggirare la caduta del mito e salvare capra e cavoli, illudendoci che è possibile realizzare unioni nominalmente imperiture esattamente come andiamo a comprare un pollo allo spiedo alla domenica sera per ben iniziare la settimana senza cucinare;
– Che le unioni imperiture “frii e mancia” contengono immantinentemente una clausula-salvavita di recessione con la funzione dello gettare le ossa del pollo della domenica nella munnizza dopo averlo divorato, ché domani c’è da pensare al pranzo e mal che vada con gli avanzi ci arricchiamo l’insalata;
– Che tutto questo (unirsi e rescindersi) non abbia costo alcuno, né mentale, né simbolico, né materiale (tanto poi in Italia ci pensano i 4 + 2 milioni di tagli a scuola e sanità a salvare le vite);
– Che la relazione (come d’altronde il resto) è apparenza da dare in pasto ai media;
– Che psicologi, sociologi e sessuologici siano dediti a questi esperimenti psico-sociali.
Su questa, ci tengo a sottolineare che io non la penso così! E non la penso così proprio perché credo nella mia professione e so che molto è possibile, ma, come dico ai miei pazienti, che non esiste la bacchetta magica: nulla è possibile senza fatica. Penso che ogni faccenda umana che si rispetti necessiti della pazienza del contadino e del rallentato tempo della mente per essere coltivata e per crescere in salute; tutto il resto, tutti i concimi chimici e le antropo-tecniche da serra, sono plasticosi, apparenti e probabilmente tossici. Producono frutti bummiati che slatentizzano reazioni allergiche e cellule cancerogene. Nulla si crea dal nulla e nulla si distrugge veramente, dice una legge ics della fisica… nulla nasce per davvero senza la sacra fatica dell’innamoramento, della coltivazione dell’amore e… senza la spesa pagana dello sponsalizio! Perfino la separazione, come recitano eminenti manuali, ha costi notevoli, fino ad essere considerata tra gli eventi simbolici più segnanti della vita degli individui che, come tale, necessita di lunghi tempi di elaborazione (o, che dir si voglia, di cottura) per essere digerita.

Per fortuna, forse queste cose le sa il giudice che ha detto “NO!” al divorzio televisivo di Wilma e Stefano e che ha dichiarato che il matrimonio è “un istituto” che non può essere trattato come il pollo arrosto domenicale o come un talk show; questo giudice ha posto un limite, ha ricordato che le cose hanno un valore e che vanno rispettate. E in qualche modo è il detentore della speranza di arginare quel messaggio televisivo per cui chiunque, anche una come me non sposata per validi motivi, vedendo certe cose, può sentir risvegliare la voce transgenerazionale della nonna e a un certo punto dire: “Eppure se è così semplice… che mi costa? Perché no?!? …Una simpatica festicciola, tanti regali, un bel vestito e pace alle anime purganti dei trisavoli!”. Questo è il potere dei media: trasformare in merci facilmente acquistabili robe di valore come l’unione e la separazione umana, produrre nuovi valori in stile “tutto è possibile!” o risvegliare i vecchi devalorizzandoli, agganciarsi alle interiorità più primitive di ognuno per rendere desiderabile il cool, la vetrina, il “tutto e subito” facile facile, e farci sentire così apparentemente più apposto… e più povery (gli avvocati divorzisti penso ne sapranno qualcosa :P ). …Tanto valeva, a stu punto, la fuitina… Ma no, certo: quella mancava del neo-valore della visibilità!

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.