Alla tecnologia ci si abitua in fretta!

C’è stato un tempo in cui si noleggiavano VHS, i distributori di videocassette self-service mostravano un catalogo di centinaia di titoli, disponibili a patto che avessi una tessera prepagata. Blockbuster sembrava una catena solida e duratura, difficile pensare che si sarebbe invece spezzata, anzi sgretolata, nel giro di pochi anni. Colpa o merito di una connessione internet sempre migliore e più diffusa, di eMule, dei Torrent, ma anche degli streaming pirata e di quelli legali. I video sono diventati on demand, tutto ciò che vuoi e subito. I canali pay-tv classici, che avevano una decina di canali dedicati ai film sui quali girava ininterrottamente sempre lo stesso film per un periodo limitato, sembrano ormai solo un ricordo sbiadito. I veri collezionisti hanno ancora scaffali pieni di blu ray, ma sono gli HardDisk i veri pozzi senza fondo di chi ama conservare film cult e nuove uscite.
Anche gli altri media sono profondamente cambiati, e non parlo solo della qualità ed ormai ci siamo talmente abituati a certe comodità che è difficile pensare che non ci sono sempre state.

Le fotografie, da evento familiare che richiede “l’abito buono”, sono diventate prima hobby comune e ora alla portata di qualunque smartphone anche con quadrupla fotocamera. La fotografia è di tutti (purtroppo). E se le foto fanno schifo? Si esagera coi filtri, così si spaccia per foto artistica. Non c’è più un rullino, non c’è più problema di spazio con i diversi cloud storage, scattare una foto o un selfie è gratis, quindi facciamo più foto (di bassa qualità e di dubbio gusto) e poi eventualmente cancelliamo, si stampa, o si fa stampare, solo occasionalmente.

E la musica? I dischi, poi le musicassette da riavvolgere, lato A e lato B, la doppia piastra per clonare una cassetta, e quando occorreva fare una compilation bisognava con pazienza ascoltare quando finiva una traccia e inserire un’altra cassetta. Solo ricordi! Le cassette avevano una durata in minuti e bisognava calcolare quello che poteva starci. Alla fine si decorava l’etichetta con l’UNIPOSCA. Per eventi e spettacoli teatrali, per mettere una colonna sonora e degli effetti occorreva avere una cassetta per ogni traccia. Poi è arrivato il CD, migliore qualità, ma anche la possibilità di saltare da una traccia all’altra istantaneamente, senza dover riavvolgere e senza dover cambiare lato. Masterizzare una compilation è diventata un’azione che si poteva fare in casa, programmando le tracce da inserire, bastava avere un masterizzatore e Nero Burning Rom. Poi sono arrivati i migliaia di MP3 divisi in cartelle con le informazioni sulle tracce (autore, anno, disco), tutte in un solo CD. E poi anche i CD sono spariti (sul mio portatile non c’è più!), adesso basta una chiavetta USB o una SD, sempre che non si utilizzi un servizio Cloud o di streaming on demand come Spotify, iTunes o Deezer.

Anche i libri stanno cambiando, anche se poco rispetto al resto. Gli ebook non hanno lo stesso odore dei libri nuovi, e, seppure con i dispositivi elettronici puoi leggere anche al buio e non occorre avere un segnalibro, sfogliare le pagine rimane un gesto romantico. Kindle, Kobo e il resto degli e-reader sono belli e vengono comprati e regalati, ma gli accaniti lettori sono più tradizionalisti e inseguono meno la tecnologia, ecco perché i libri resistono, sebbene oggi si ordinano su Amazon che con prime in 1 giorno ti porta qualunque libro (o quasi) e si rivendono su Libraccio.

I videogiochi negli anni ’80 erano prima su musicassette (commodore64, spectrum), poi su dischetti floppy (quelli grandi e flessibili, poi quelli dell’icona “salva”, più piccoli e rigidi). Poi è stata la volta delle leggerissime e ingombranti cartucce per le consolle, DVD e poi, sia su PC che consolle, servizi di distribuzione software virtuali: ti abboni, o compri un gioco e hai a disposizione quel gioco a vita (o finché c’è ancora un dispositivo supportato), senza però averne una copia fisica o possibilità di rivenderlo: Xbox Live, Steam, Google play, Apple app store, Amazon app store. Alcuni giochi sono ad abbonamento, social o online, altri sono gratis, il solo costo è un po’ di pubblicità, altri sono freemium (cioè gratis, ma se vuoi contenuti extra, aiuti o velocizzare il gioco compri gemme o paghi). Un tempo si poteva giocare con consolle portatili grazie a GameBoy e al suo rivale GameGear, se non avevi abbastanza soldi avevi quei “100 giochi in 1”, dispositivi che offrivano giochini semplici come invaders, tetris e snake, ma con una grafica davvero scarna. Oggi qualunque smartphone o tablet è una consolle portatile e i giochi vengono completati al WC.

Qual è il comune denominatore del cambiamento dei media?
Qualità: l’analogico è praticamente morto. È digitale la TV e la radio, le foto, i testi, audio e video.
Compressione e archiviazione: migliore è la qualità e maggiore è lo spazio necessario, ma grazie alla compressione (JPG, MP3, AVI sono tutti formati compressi), a Cloud e a spazi di archiviazione sempre più capienti e compatti è raro dover cancellare qualcosa per problemi di spazio.
Tempo: spedizioni e download rapidi, contenuti on demand, c’è fretta, frenesia e impazienza.
Scelta: non c’è solo quello che ha il negozio sotto casa, gli store virtuali hanno praticamente tutto e al posto del negoziante ci sono infinite recensioni e unboxing che ti aiutano nella scelta.
Smaterializzazione: nella maggior parte dei casi non si ha più una copia fisica del media. Il mercato del media usato si assottiglia.

Con un po’ di nostalgia possiamo ancora immaginare e in alcuni casi ammirare vecchi TV, Super8, radio vintage, 33 Giri, vecchie cartucce, ascoltare il rumore del compositore dei numeri di un vecchio telefono analogico a cornetta. Qualcuno dirà “Bei tempi!” leggendo da uno smartphone questo articolo scritto su Word. Bei tempi!

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