La scorsa settimana io e alcuni colleghi abbiamo tenuto un seminario all’università. Ero molto contenta di andare a raccontare alcuni dei punti cruciali della mia formazione gruppoanalitica; contenta, soprattutto, dell’argomento da trattare: un argomento “politico” per eccellenza, relativo al mondo in cui viviamo e al tipo di psiche e di cura dell’umano che esso produce. E contenta lo ero ancor di più di per il lusso non econocratico (andai aggratisse) di condividere tutto questo, perché solo la parola non interessata e condivisa, la messa in circolo di nuovi modi di pensare, può “sformare” quel pensiero comune di massa che ci abita/omologa inevitabilmente tutti. In effetti, come dicevo all’Unipa, oggi il mondo non è A-ideologico (Ruvolo G.): forse “non ci sono più i valori di una volta”, dicono i nonni; ma in realtà il nostro mondo è pregno di nuovi ideali! E quali, se non quelli della metafisica capitalistica di massa?
Mi pare chiaro come il centro degli ideali attuali sia costituito dall’economia del capitale e dalle logiche di mercato, fatte di do ut des, di input e output, di modelli di profitto. In esse, l’imperativo è “diventare impresa di se stessi!”; la nostra è infatti una “moderna società della performance” (Sloterdijk P.) satura di antropotecniche finalizzate al controllo onnipotente sulla vita, e in particolare su un certo tipo di vita: quella in cui tutto è mercato e “l’individuo è un’impresa permanente e multipla” (Foucault M.). Lo stesso UOMO è considerato IMPRESA, ovvero macchina produttrice della sua stessa realizzazione; egli deve vendere se stesso al miglior prezzo sul mercato e non deve rispondere agli altri di nulla. Anche dal punto di vista relazionale, in effetti, imperversa l’orizzonte etico-culturale del proprio interesse, che viene blandito in forma di un relativismo parabolico & paraculico giustificato dal rischio di dissoluzione del sé a contatto coi limiti imposti dall’Altro. Non a caso, il rapporto con l’altro è guidato dalla competizione e dalla concorrenza, nonché dalla ricerca dei vantaggi che i contraenti possono trarne: l’altro è avversario o, al massimo, cliente. Alla base di tutto ciò vige un desiderio di dominio, di possesso… di possedere per consumare. NON PER COSTRUIRE!
Il pensiero è quindi volto al calcolo utilitaristico, NON alla riflessione critica, che è anzi vista come valore negativo.
La cultura attuale è pertanto priva di pensiero critico e in generale priva di limite, ove il limite massimo resta comunque quello della morte, che tratteremo qui a simbolo di una normale finitezza umana …oggi ritenuta inaccettabile. La sapeva lunga Saramago quando scriveva in quel libro “latteo” che è Cecità: “E’ una vecchia abitudine dell’umanità passare accanto ai morti e non vederli”. …La storia insegna… forse. In effetti la nostra attuale cultura è “tanatofobica”: la caducità, piuttosto che fisiologica, è vissuta oggi come un attacco all’onnipotenza esistenziale e va esclusa dal pensiero, negata, esorcizzata e identificata come un evento in-naturale. Ad esempio, non si possono prendere in considerazione le vulnerabilità e le caducità (corpo, invecchiamento, malattie, mortalità, rughe, capelli bianchi, figliolanza, prospettive future, etc.). …Per carità, non è che non si parli di limiti e di morte, anzi: siamo furbissimi! Se ne parla, ma è sempre la morte degli altri! La pagliuzza sta negli occhi degli altri! Ed in ogni caso è sempre ben trasfigurata: oggi la morte è “pornografica”, dice Gorer. NON nel senso che è “erotica”, ma nel senso che è messa, come una meretrice che si prostituisce, sulla scena e in modo osceno (ne sono un valido esempio i plastici a Porta a porta o le Storie maledette della divina Franca) per esorcizzarne l’angoscia trasformandola in un oggetto ludico come tanti con cui appagare i piaceri del pubblico e allontanarne i pensieri dalle sue questioni e dalla sua stessa finitezza: la morte è una distrazione! E’ spettacolo, come a teatro! In questo senso è pornografica. Come nel nominatissimo caso di Noa, anche quando potrebbe schiudere scenari importantissimi di cui occuparsi con cura e attenzione, ciò che trionfa è una porno-necrofilia che permette di trattare il sommo limite come un cineforum da facebook: gli “utenti”, seduti dietro una tastiera con i pop corn in mano, parlano (ben schermati) delle morti altrui seguendo i principi del talk show. (La “talk-ing cure”, invece, parte dal Sé, dal “dentro”, dalla cura del pensiero… non dallo spettacolo!)
Quello che siamo andati a dire agli studenti è semplicemente che questo sfondo culturale ci permea e ci intenziona: queste idee dirigono il nostro sguardo, le nostre azioni e scelte, le nostre emozioni, i desideri e i bisogni, la nostra coscienza… Creano la nostra soggettività (di massa). E ciò vale per gli esseri umani, per i gruppi, per le organizzazioni, per le istituzioni (anche per quelle di cura!), per le comunità.
Soprattutto, siamo andati a “testimoniare” che se non teniamo conto di tutto questo, mettiamo in atto una vita (e una cura per chi, come me, si occupa di salute pubblica), che collude con questi livelli e che produce certi tipi di uomini.
E’ dunque sempre necessario chiederci: qual è il sociale che ci abita e che agiamo? E qual è il nostro modello di vita e di cura di individui, gruppi, organizzazioni, istituzioni, comunità? I primi “politici” infatti siamo noi: noi possiamo essere delle istituzioni alter-native; noi quelli a cui tocca trovare nuove vie per stare nel mondo e con l’Altro, piuttosto che adattarci a questo mondo di mal-essere! “Sono allora necessarie tutte le azioni e le misure possibili per la profanAzione di questi dispositivi, per il rientro attivo di cose persone luoghi animali e pensieri nel circolo dell’uso comune, […] e la costituzione di comunità locali resistenti alla globalizzazione. […] Io propongo senz’altro l’utilizzo diffuso e competente dei gruppi gruppoanalitici come strumenti efficacissimi di profanazione sia dei più svariati dispositivi socio-culturali che dei loro mortiferi effetti di sacralizzazione desoggettivizzante” (Fasolo F.).
“ProfanAzione”… una parola bellissima. Sacra quanto basta. Rivoltosa quanto basta. E non solitaria, concluderei, se lo vogliamo: per profanare il misero esistente, è necessaria “una rivisitazione ed un rafforzamento della teoria della relazione, della teoria dei legami gruppali” (Federico S., in Cavaleri S., Lo Piccolo C., Ruvolo G., 2016), laddove purtroppo oggi l’Altro e la comunità – chiavi di ogni vera profanAzione che non è mai un atto singolare, ma collettivo! – sono invece istituzioni …iper-uraniche?
“La cultura attuale è pertanto priva di pensiero critico”: ne parlavo qualche sera fa con degli amici, esclamando la stessa cosa! E sarà sempre peggio, perché la “formazione” scolastica della prossima generazione sarà effettuata dalla nuova generazione cresciuta nella cultura odierna priva di senso critico…
A volte vien lo sconforto… Ma… C’é sempre un “ma”, e dipende da noi!