Per il contest “COVIDecameron – Storie in quarantena”
Ci fu un tempo in cui le nostre menti non erano libere, in cui le coscienze collettive erano guidate da una forza invisibile e tutte le nostre azioni erano soggette ad un unico pensiero. A migliaia abbandonarono questo mondo, chi volontariamente chi senza scelta alcuna. Furono tempi difficili in cui scoprimmo la nostra vera essenza: quando l’essere umano è posto dinnanzi l’inesorabile verità della morte abbandona ogni briciolo di umanità, guidato dal naturale istinto di sopravvivenza. La vera natura di cui eravamo fatti, tuttavia, non fu l’unica cosa che scoprimmo a quell’epoca: ci rendemmo conto, infatti, che il nostro universo altro non era che uno di infiniti universi paralleli e che proprio da uno di questi venne l’eroe che salvò la nostra umanità.
Tutto iniziò un normale mattino di maggio, “paziente zero” – come venne chiamato il primo – mostrò i primi sintomi del virus che noi conosciamo col nome di “motivetto”. Si trattava di un virus letale che non faceva eccezioni, un virus dal quale era impossibile guarire e che faceva più o meno così: turututtu papparà tattà. La forza letale del virus risiedeva nel fatto che creava una sorta di ossessione insana nei soggetti che, dal momento in cui venivano infettati, non potevano smettere di canticchiare il motivetto. E quando non lo canticchiavano, il virus li faceva marcire dal di dentro. Sempre, ossessivamente, il motivetto.
All’inizio non se ne comprese bene l’entità, sembrava un virus innocuo ma, più gente veniva contagiata e più la situazione degenerava. Cos’altro puoi fare quando la tua mente è offuscata da una forza tale che ti costringe ad articolare quei suoni, se non canticchiare? Le persone impazzirono, non riuscirono più a svolgere le normali attività quotidiane. Nei casi più gravi, la salute mentale venne minata a tal punto che in molti si tolsero la vita o semplicemente si lasciarono andare in balia del virus e smisero di mangiare, di curarsi e di guardare prima di attraversare la strada.
Allora si corse subito ai ripari: bisognava contenere il diffondersi del motivetto, per cui si misero in atto strategie e rimedi per non farsi contagiare. Naturalmente i tappi per le orecchie andarono a ruba, non se ne trovava più da nessuna parte e il mercato nero ne approfittò piazzandoli a prezzi esorbitanti. Non parliamo poi delle più efficaci cuffie anti-rumore: Gucci ci fece tutta un’intera linea di abbigliamento e accessori. Tali misure, però, non bastarono a contenere i danni del virus. Per far fronte alla pandemia, i governi adottarono misure drastiche e a certi livelli anche rischiose: furono chiuse scuole, fabbriche ed uffici e si emanarono leggi che istituivano l’apertura di cantieri ogni 100 metri nelle grandi città. Vennero demolite case, trivellati terreni e le città cambiarono faccia da un giorno all’altro. Per strada vi era ovunque un rumore assordante, strategia insana per far sì che le persone non si contagiassero a vicenda, purtroppo però non si fecero i conti con le radicate abitudini degli operai di cantieri di cantare tra una mano di calcestruzzo e l’altra. Fu una carneficina.
Dapprima si salvò chi era così fortunato da avere case insonorizzate: chiudendosi in quarantena forzata e comunicando col mondo esterno solo attraverso la tecnologia, via messenger e whatsapp. Peccato che quei maledetti messaggi audio fotterono anche loro! Quelli che resistettero più a lungo furono coloro che abbandonarono per tempo le città e si rifugiarono nelle campagne e nei paesini semi deserti che si erano svuotati in seguito alle grandi urbanizzazioni moderne. Naturalmente fu solo questione di tempo: il motivetto colpì anche loro, dannati venditori ambulanti con gli altoparlanti sul tettuccio dell’auto!
Le Nazioni erano in crisi, quasi la totalità dei capi di Stato era stata infettata e regnava l’anarchia. A quei tempi si pensò che l’unica soluzione logica in grado di risollevare le sorti fosse consegnare il potere governativo al neonato movimento “Motimmuni”, fondato dalla comunità dei sordi dal supremo leader Renzo Trillo (sì, lo so, cognome ironico per un sordo). Scelta disperata e che si rivelò poco saggia: che fantastica ribalta per un gruppo da sempre emarginato, riuscire ad avere il potere di decidere le sorti dell’avvenire. La situazione gli diede alla testa e invece di risolvere il problema, legiferarono subdolamente al fine di preparare un colpo di Stato mondiale.
Quel giorno, ricordo, fu uno dei più tristi e allo stesso tempo straordinari che l’intera umanità abbia potuto vivere. Il capo del Movimento “Motimmuni” aveva indetto una video diretta per annunciare la presa di potere ed emanare decreti per far fronte alla situazione. Era tutto pronto: telecamere puntate a trasmettere in ogni dove e soprattutto nelle case di quanti, in quarantena isolante, erano sopravvissuti. Poveri ingenui, ignari del fatto che da lì a poche ore sarebbero stati soggiogati con una filodiffusione del virus a livello globale.
A quei tempi io ero il capo delle prigioni di infettati, un lavoro orribile e rischioso che veniva affidato a coloro che avevano perso tutto. Ci chiamavano “eroi”, quando invece per il resto delle nostre esistenze non ci avevano mai considerati: sottopagati e sfruttati dai governi che sapevano solo fare tagli ai fondi per la sicurezza. Come se non bastasse, il Neo-Governo stesso avrebbe usato i nostri locali per la diretta (già che tanto, qui da noi, la maggior parte erano già spacciati) e, anche se quel giorno non ero di turno, mi alzai presto e mi preparai per andare nel mio ufficio. Giusto quando uscì di casa per recarmi al Lazzaretto, vidi due vigili litigare non verbalmente con un passante che, evidentemente, non si sarebbe dovuto trovare a passeggiare liberamente per la strada. Man mano che avanzavo i loro gesti si facevano più vivaci e vidi distintamente che quello non portava tappi alle orecchie. Sacrilegio! Lo aspettava la galera! Mi avvicinai, mostrai il distintivo e misi le manette a quel bastardo, trascinandolo con me verso la prigione. Opponeva così tanta resistenza che mi sembrò quasi impossibile, di solito gli affetti da motivetto pensano solo a canticchiare ma lui no, lui si opponeva all’arresto come se da questo dipendesse la sua vita, la mia e quella di tutta l’umanità. Lo spinsi in auto e, non so dire come ci riuscì, si liberò dalla mia morsa e sfilò le mie cuffie anti rumore. Furono secondi di panico per me: sarei stato infettato! Non mi importava tanto essere in balia del motivetto quanto di essere libero di infettare altri.
Lo guardai negli occhi terrorizzato ma lui non parlò, rimase in silenzio per mezzo minuto almeno e mi resi allora conto che non era infetto. Non canticchiava ma porca puttana, che strizza mi fece venire! “Amico non sai in che guaio ti sei cacciato!”, mi indirizzai a lui prendendo coraggio “chi ti credi di essere per andare in giro a togliere le cuffie alle forze armate?”
“Hola, mi nombre es Luis y voy a salvar el mundo!”
Pensai che fosse un coglione o un disperato, o un coglione disperato e che avesse voglia di morire e per questo andava in giro senza tappi per farsi infettare. Non pensavo minimamente che potesse avere ragione. Lo capì dal mio sguardo, penso, quando mi disse “siediti e ti spiego qual è il piano”. Farneticò di come Trillo volesse mettere in atto un colpo di stato mandando il motivetto in filodiffusione in ogni angolo del pianeta e di come egli stesso fosse giunto da molto lontano per salvare il nostro mondo.
“Io vengo da un altro universo, un universo dove le persone sono immuni al motivetto perché esiste un vaccino potentissimo. E giusto per essere stato il più grande e insistente produttore di questo vaccino sono stato cacciato dal mio mondo per disperazione. Aiutami a raggiungere la sede del governo!”
Per tutta risposta gli tirai un cazzotto in faccia e lo feci svenire. Finalmente lo trasportai in auto al Lazzaretto e lo buttai dentro una cella con degli infettati, sì lo so mi comportai da vero bastardo. Ne avevo fin sopra le orecchie di cospirazioni e fake news! E poi avevo altro a cui pensare, dovevo preparare la sala per la conferenza. Trillo e i suoi erano euforici, era quasi tutto pronto, e quanti di noi ancora sani eravamo rassegnati. Prima che iniziasse la diretta mi decisi ad andare a controllare come se la stesse cavando il nostro amico “hola me llamo Luis e sono immune al motivetto”, coglione! Nell’avvicinarmi alla cella notai un lieve cambio di temperatura, aveva iniziato a far caldo e l’ambiente puzzava anche di sudore. Che diamine stava succedendo? Quando fui all’ingresso del corridoio che dava ad una serie di celle tra cui quella del forestiero vidi tutti i carcerati intenti a ballare e sorridere, un ballo goffo e a tratti pornografico. Mi videro e cominciarono a rivolgersi a me gesticolando e muovendo le labbra in maniera diversa da chi è normalmente infettato, come se stessero parlando normalmente, mi additavano e additavano le mie cuffie quasi a suggerirmi di toglierle. Corsi alla cella dove avevo sbattuto Luis e lo trovai su di una sedia a ballare e articolare parole come se si stesse esibendo. Quando mi vide si fermò e mi sorrise. Tutt’intorno immediatamente la gente iniziò ad applaudire! Impossibile: per la prima volta da quando si era diffusa questa pandemia vedevo degli infettati rispondere a degli stimoli. Incredulo e – devo ammettere – alquanto incosciente mi sfilai a poco a poco le cuffie e lo sentii. Sentii un coro di gente che articolava una melodia a loro detta peggiore di quella che produceva il motivetto, ma che ti prendeva e ti catturava in un vortice infinito di chiodo schiaccia chiodo. Erano guariti! Mi parlavano, parlavano tra di loro, ballavano, si scambiavano sorrisi, facevano battute: erano tornati alla vita!
Mi dovetti ricredere, Luis era veramente l’eroe che avrebbe salvato il mondo. Lo tirai fuori dalla cella, lo spinsi in avanti e lo condussi verso l’uscita, scusandomi mortificato e pregandolo di compiere la sua missione. Ci intrufolammo di nascosto nella sala conferenza giusto quando il cameraman stava facendo il conto alla rovescia per la diffusione. In uno slancio disumano Luis si precipitò ai piedi della poltrona presidenziale, staccò la spina dalla cassa che avrebbe diffuso il motivetto, sfilò il microfono e si mise a cantare una melodia nella sua lingua:
Despacito
Quiero respirar tu cuello despacito
Deja que te diga cosas al oído
Para que te acuerdes si no estás conmigo
Pasito a pasito, suave suavecito
Nos vamos pegando, poquito a poquito
Y es que esa belleza es un rompecabezas
Pero pa montarlo aquí tengo la pieza
Sì, una schifezza, ma una schifezza che salvò l’umanità. Così finisce la mia storia di come scoprimmo che vi erano altri universi oltre al nostro nei quali esisteva, contro il peggior virus di tutti i tempi, il più grande e potente vaccino: il Tormentone.
*Non si sa mai se un pezzo reggaeton può salvarci la vita*
Un po’ lungo… ma soprattutto figo!!!