di Valeria Balistreri per il contest “COVIDecameron – Storie in quarantena”
Mi sveglio al rumore dei camion della spazzatura che svuotano i cassonetti lungo la strada e mi rendo conto che è da molto che i gabbiani non sono la prima cosa che sento al mattino. È il terzo giorno che apro gli occhi alle sette senza sveglia. Un’ora dopo il mio solito orario, ma comunque abbastanza presto per il fine settimana. Oggi è lunedì però. Secondo il mio scrupoloso piano, dovrei alzarmi, fare colazione e una doccia come al solito, e poi essere pronta per il lavoro alle otto e quaranta. Ma rimango a letto. Penso che potrei lavorare in pigiama e non farebbe nessuna differenza. La prima cosa che faccio ogni mattina è controllare il cellulare. Sbagliato. Ogni notifica è di un articolo di giornale con numeri che sono sempre più alti del giorno precedente. Decido di distrarmi con qualche giochino stupido.
Alle otto ho giocato a dodici partite, ho guadagnato una manciata di punti esperienza e sbloccato un nuovo livello. Alle otto e mezza sono online e mi congratulo con me stessa per essere persino un po’ in anticipo, poi vedo che ho venti lunghe email nella cartella in arrivo. Su una di queste c’è scritto che il primo compito della giornata deve essere completato prima delle otto e trenta. Tutti nel mio team hanno subito risposto alla manager e io sono ancora lì che leggo le email, fin quando gliene mando una e lei risponde che “giusto per chiarire” l’orario di inizio era le otto e trenta. È una giornata piena, senza le battute e il linguaggio del corpo dell’ufficio – niente sopracciglia che si alzano alle pretese della capa quando si volta, niente occhi che si spalancano quando qualcuno porta una torta da condividere. Solo io e il mio computer. E una cartella di Posta in arrivo che trilla ogni paio di minuti.
Devo confessare, però, che mi prendo del tempo qua e là per provare una nuova ricetta. Mi sono procurata gli ingredienti in una spedizione in tre supermecati diversi e sono pronta a farne valere la pena. È solo che non avevo letto che ci metteva un’ora a cuocere, più il tempo di preparazione, così la pausa pranzo del mio fidanzato passa e io sto ancora facendo la besciamella, litigando con il pentolino, implorandolo di non farla attaccare e bruciare. Infine mischio la pasta, la salsa e tutti gli altri ingredienti in una teglia e la infilo in forno. Rispondo a qualche altra email e un quarto d’ora dopo la superficie è croccante e dorata. Il profumo di pasta al forno riempie il piccolo appartamento.
Le mie pause sono più flessibili di quelle del mio fidanzato, posso prendermi quaranta minuti quando non ho molto lavoro. Lui, invece, deve seguire dei turni precisi, quindi è di nuovo seduto davanti al computer nello stanzino che ha trasformato in uno studio. Non c’è spazio per più di una persona lì dentro, quindi gli porto il pranzo, le posate e un bicchiere, poi faccio lo stesso per me stessa e poggio tutto sul pavimento del corridoio. Porto anche un cuscino e una bottiglia di vino. Mangio lì, seduta sulla moquette non troppo pulita, bevendo vino, parlando con lui. Il sole in quel momento della giornata illumina la finestra del bagno e luce e calore riempiono il corridoio. Dopo mangiato mi distendo – la testa sul cuscino, la bocca felice del sapore del vino, il mio corpo vivo ma a riposo, godendomi il tepore.
E per il resto ha proceduto così? :)
All’inizio l’avevamo presa quasi come una vacanza, adesso anche questa è diventata abitudine