Di Lucia Immordino
La realtà supera la fantasia, le contraddizioni si compenetrano a tal punto da generare ossimori e paradossi e il delirio diviene la normalità.
In un qualsiasi vocabolario, l’ossimoro è una figura retorica che unisce sintatticamente due termini contraddittori che si riferiscono a una stessa entità. L’effetto che si ottiene è il seguente: lucida follia, ghiaccio bollente, silenzio assordante, buio abbacinante, normalità delirante.
Il paradosso, invece, è una proposizione enunciata in contrasto con l’esperienza collettiva o con i principi elementari della logica ma che, ad un esame critico, si dimostra valida. Un esempio di paradosso può essere quello del gatto di Schrödinger. Schrödinger, nel 1935, lo pronunciò per rilevare la debolezza dell’Interpretazione di Copenhagen della teoria quantistica formulata dal Premio Nobel per la fisica, il danese Niels Bohr, ma finì per rappresentare gli aspetti meno intuitivi della teoria stessa.
La condizione sperimentale è la seguente: supponiamo di avere un gatto dentro una scatola con una fialetta sigillata piena di gas velenoso che si romperà in un momento casuale. Secondo Schrödinger è impossibile sapere, prima di aprire la scatola, se il gas sia stato rilasciato o meno; perciò, fintanto che la scatola rimane chiusa, il gatto è contemporaneamente sia vivo che morto. Solo aprendo la scatola questa “sovrapposizione di stati” si chiarirà. La vita del gatto è, di fatto, nelle nostre mani. È paradossale: l’osservazione determina il risultato dell’osservazione stessa!
Cotali concetti, già difficili da comprendere in tempi di cosiddetta normalità, diventano impenetrabili in periodi di delirio. Ed è chiaro che questo che stiamo attraversando è proprio uno di quelli!
Il delirio è la formazione patologica di convincimenti inesatti, irrazionali per contenuto, resistenti a ogni analisi. È uno stato che denuncia la perdita del controllo razionale in seguito all’intensificarsi della passione o all’esaltarsi dell’ immaginazione in netta contrapposizione a ciò che si intende per normalità, che è la condizione di ciò che è o si ritiene regolare e consueto, non eccezionale o casuale o patologico sia da un punto di vista personale che sociale.
Premesso questo, paradossalmente, abbiamo trasformato il sentimento della prudenza in qualcosa di incontrollabile, totalmente spavaldo e incosciente, tanto da superare la prudenza stessa e farci volare a pie’ leggero in braccio al pericolo.
Il 20 e 21 settembre si voterà il taglio dei parlamentari, eppure in questi giorni si parla di tutto tranne che di questo o se lo si fa se ne proferisce solo a contorno di altre situazioni, come se il tema non fosse di vitale importanza. Si prende in giro, tanto da renderla influencer, la signora del “non ce n’è coviddi”; ci si irrita per la manifestazione a Roma dei negazionisti, dei no vax e di quant’altro di questo genere; si parla di analfabeti funzionali e di eterna compagna elettorale e propagandistica da parte di certuni politici alquanto discutibili che alimentano senz’altro un clima antipolitico… ma non ci si indigna per il disinteresse di quanto potrebbe succedere tra qualche giorno, e cioè il ridimensionamento del Parlamento non solo a livello di cifre ma anche nella sua capacità rappresentativa del δῆμος (ossia del governo popolare).
Se vincesse il taglio dei parlamentari, nel Bel Paese si passerebbe da una rappresentanza di oltre novantamila abitanti per deputato a più di centocinquantamila, e l’Italia si ritroverebbe all’ultimo posto in Europa in merito alla rappresentatività della Camera Bassa (per capirci: quella che da noi è la Camera dei Deputati).
Più che mortificare il Parlamento, dovremmo soffermarci e riflettere sulla stoffa, sulla preparazione, sull’onestà, sull’etica, sulla qualità dei parlamentari che votiamo!
Invece, di fronte ad una deficienza, ad una incompetenza, un’inadeguatezza proprie della politica attuale, essa cosa fa? Diminuisce la capacità rappresentativa del popolo da parte dell’istituzione, assicurandosi più potere. E questo si verifica, paradossalmente, in un clima antipolitico.
Quella di oggi può essere definita (volendo citare un termine che Bauman usa per connotare la nostra società) “politica liquida”, legata più alla figura di un leader che a idee ben precise e chiare alle quali, anzi, se ne preferisce un’unica di appartenenza. Ed è qui, in questa chiamata diretta del leader al popolo, senza più l’intervento dei partiti, che si annida l’odierno sentimento populista.
Quanto detto viene avvalorato dal fatto che il governo ripiega sempre più spesso su decreti di varia natura e sull’intervento della magistratura per l’interpretazione delle leggi. La via dei diritti civili passa per questa bolgia: quella del malfunzionamento della politica (non del Parlamento, attenzione, che però viene ferito da questo oltraggioso inganno).
Il potere della leadership partitica, politicamente parlando, oggi è smisurato. Diminuendo i parlamentari esso aumenterebbe ancora di più, la libertà dei singoli deputati o senatori diverrebbe poca cosa e sarebbe più difficile manifestare una dissidenza interna e affermare un pensiero non schierato.
Costituzionalmente si corre il rischio di facilitare un’inadempienza del divieto del vincolo di mandato. Di cosa si tratta? Dell’articolo 67 della Costituzione che garantisce la libertà di espressione ai membri del Parlamento italiano eletti alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica. Cioè, per assicurare la democrazia, i Padri Costituenti ritennero necessario che ogni singolo parlamentare non fosse vincolato da alcun mandato verso il proprio partito. Il vincolo che lo lega agli elettori riguarda, invece, la responsabilità politica, che è altra cosa ed è assai diversa.
Se passasse il taglio dei parlamentari, questi potrebbero trovarsi a non contrastare le decisioni del Presidente del Consiglio, che in genere è anche il capo del partito di maggioranza.
Alla luce di quanto detto sopra: c’è un ritorno da un punto di vista funzionale o del risparmio? Il risparmio, in effetti, ci sarebbe ma equivarrebbe, considerando la spesa complessiva dello Stato (che viene calcolata solo sugli stipendi dei parlamentari e non su tutte le spese accessorie), nella legge di Bilancio 2020 stimata a 662 miliardi, allo 0,01% del budget statale.
Tutto ciò è assolutamente grottesco in confronto a ciò che rischieremmo di perdere sul piano politico e su quello istituzionale.
Pertanto, alla Ionesco, ci troviamo o no dentro una normalità delirante?!?
Io voto no!
(“C’è chi dice no!”)
E se proprio, volendo semplificare, devo dirne una, mi basta affermare che, se l’obiettivo era il risparmio, bastava tagliare o formulare una domanda in merito a questo ;) Le domande giuste vanno poste, non quelle manipolate…