E’ stata una settimana pesante. Siamo in sotto-pandemia (“sotto” perché – rispetto alla “prima volta” – se ne parla sottovoce), o Covid-II (era seconda). Da venerdì scorso lavoro con la mascherina “altruista”: è quello che devo fare per tutelare i miei pazienti, fidandomi che siano loro a pensare a me. In un lavoro che è definito “cura con la parola” potete immaginare cosa questo significhi: mi manca a tratti il respiro, faccio fatica a ultimare le frasi, mi piombano addosso nausea e mal di testa e la sera ho solo voglia di decedere sul divano senza neanche il desiderio di una bella carbonara o di un caldo gatto sulle ovaie. In quei momenti post-masque, il mio pensiero prevalente va alla possibilità che l’effetto serra creato sulla zona oro-boccale dalla mascherina possa farmi spuntare i baffi. Non è vero, il mio pensiero prevalente è relativo alla possibilità di non arrivare lucida a fine giornata, alle ultime sedute. Ma forse neanche questo è vero, ho fiducia in me. Il mio pensiero prevalente è: “quanto durerà?”, con un sottofondo di sottile, flebile disperazione.
Ancora non siamo al lockdown vol. 2 e non siamo alle quarantene totali. Ancora per fortuna possiamo incontrarci e lavorare insieme; non stringerci la mano, ma guardarci negli occhi e condividere la densità della presenza sì. Non è dunque la “separazione di sicurezza” a preoccuparmi, né l’idea, paventata dai soliti guaglioni di facebook, che il capodanno sarà un capodown. La preoccupazione prevalente è relativa alla percezione di rischio, alle mie amiche e colleghe che sento giù, isolate o preoccupate per i loro bambini; è per i pazienti che mi chiamano disperati poiché dove abitano è iniziata la caccia alle streghe con tanto di telefonate intimidatorie: “non devi uscire”, punto. Mi preoccupa, soprattutto, che come al solito ci si faccia la guerra tra noi, ci si dia addosso e si dia come al solito “la colpa” ai “micranti” o a sindaci e a governatori giusto per scaricare la rabbia. E più di tutto mi angoscia il cambiamento comunicativo e mediatico tra il pre- e il post- estate e la logica che ci sta dietro; o in mezzo. Nessuno ne parla. Come mai? E’ mai possibile che nessuno lo noti? Come mai sono finite le pubblicità progresso? Dove sono i cartelloni pubblicitar-consolatori? La volpina Foxy che ricordava di mettere la mascherina s’a sfilittiò? I decaloghi e le Bàrbare sull’importanza di lavarsi le mani che fine hanno fatto? Tutto svanito. Restano qua e là i disinfettanti (i guanti non più), i soliti decreti, le risse mediatiche (magari presto anche dal vivo) e la sensazione dei fascismi oppressivi che si accompagnano alla poca chiarezza sul tutto. Per chi non se la sente di pensare – ma in fondo, democraticamente, un po’ per tutti -, restano anche i meme simpatici su “Biancaneve e i 5 nani” e sulla polizia che arresta qualche apostolo perché all’ultima cena sono troppi.
Io invece vorrei che parlassimo del perché siamo arrivati a questo.
Non penso, mentre scrivo, a robe magiche da supercazzola del tipo “potevamo polverizzare prima il vairus con potenti mezzi parabolico-tecnologici”. Non penso neanche ai vaccini. Penso al come mai questa estate ci abbiano liberato tutti con l’illusione della felicità e della salute eterna, come mai ci abbiano “concesso” i lidi, i matrimoni stile siculo-campani (= 387 pax “assemblati” ra matina a siritina), e bonus vacanza all&plexiglass-inclusive. E come mai abbiano dato il via ai saldi e non all’adeguamento/ampliamento degli ospedali e del personale sanitario. Per carità, non inneggio al fallimento dei negozi. Ma io attendo da quasi 2 anni il colloquio di un concorso indetto al Policlinico… che da settembre ad ora è già stato rinviato due volte a data da destinarsi…! I concorsi per ampliare l’organico dei datori di cure (ehm… 1 posto!) rimandati e i saldi no. Ok, sensato.
Forse, sapendo cosa sarebbe accaduto in autunno, bisognava supportare la popolazione NON a rimuovere andando semplicemente in vacanza o a fare free-shopping come il Nazgûl che si opponeva alla sanificazione che mi sono ritrovata al villaggio turistico. Non era il caso magari magari di investire sulla prevenzione? Sulla cultura della profilassi? Sul creare una certa idea di cosa sia l’altruismo, indi per cui per cui la moda-masque 2020 ha un senso e NON prevede la posizione “sotto al naso”? Perché tutto deve sempre ridursi, come in un disco rotto, fracassato, che tuttavia continua a girare e ad incantarsi sempre sullo stesso punto, nella sterile contrapposizione al potere sanitario e, zitti zitti, nel sostenere l’economia? “Il paese non reggerebbe (n.d.r. economicamente) un secondo lockdown”.
Ok, seguo persone che dal Covid-I non riescono a pagare le sedute perché a sua volta a lavoro non le pagano. Ma non siamo miopi: il problema è solo di denaro? O di tutela generale? E’ nato prima l’uomo o la gallina? Chi ci pensa a creare una corretta cultura del lavoro e dell’umano per proteggere queste persone e noi tutti?
Noi che amiamo il nostro lavoro e che crediamo nell’Altro, nell’importanza di remare insieme nella stessa direzione, ci arrabattiamo tra gratuità, agevolazioni e iniziative di sostegno sociale autogestite, ma qualcuno previene davvero i malesseri psico-socio-lavorativi? E quando – in mezzo a tutte queste contraddizioni che invadono e deformano le menti – la fatica e il malessere saranno i nostri, dei datori di cure, degli infermieri coi pannoloni che non possono neanche togliere la tuta per fare la pipì… Chi ci aiuterà? Stato-Padre, che dici? Non leggi le ricerche scientifiche, tu che dovresti in base ad esse orientare i fondi pubblici? Investire sulla salute paga! Il virus insegna! O almeno ridacci qualche pubblicità progresso, oltre ai proclami deliranti di Musumeci, della Meloni e dei soliti troll. No? Non possiamo gettare la popolazione nel panico, dici? Il panico dici che non c’è già? Vorrei che ascoltassi la gente in lacrime che arriva in studio e che ci chiedessimo tutti insieme com’è stato possibile arrivare a oggi, 19 ottobre, in queste condizioni allallate. Siamo simbolicamente tornati a volare in alto e a protestare coi No Mask per l’inutilità di saltare il ferragosto, e alfine – gin tonic in mano e sorrisini onnipotenti sulla faccia – siamo atterrati male (malissimo) sulla new-realtà a carica virale +++. Sembra tutto un gioco…Menomale che esiste Taffo a ricordarci quanto siamo stupidi!
E ora cosa ci resta? In tv sei fortunato se non sei americano e non ti passano i dibattiti in cui Trump incita a togliersi di dosso la dittatura-mascherina mentre inculca alla massa la dittatura-cultura della falsità, dell’onnipotenza e della prevaricazione (solita e stranominata – ma mai abbastanza – “mors tua vita mea”), mentendo pubblicamente su qualsiasi cosa e zittendo Biden manco fosse un porco, senza che le reti gli taglino microfoni e telecamere. L’Amazzonia come ogni anno muore e i nostri monti hanno bruciato come sempre: di dolosità. Non possiamo beneficiare di una cultura della cura e della reciprocità perché dobbiamo competere con chi si accaparra i vaccini, le offerte di Amazon Prime e i riders di Zangaloro prima della chiusura comandata. Ah… I riders non prendono il Coronavirus? Dite che in fondo sono solo algoritmi e che è inutile che facciano le riunioni e i sindacati?
Non credo.
Almeno pensiamoci tra noi, almeno non saltiamoci alla giugulare e non spariamoci alle femori. E speriamo… Speriamo che non mi spuntino i baffi; e speriamo prima o poi di ritrovarci, come la pietra & la pioggia nella petricore.