L’idea di scrivere del 29 febbraio mi viene quando T. dice che lui quest’anno non ha fatto il compleanno. In un contesto terapeutico in cui, parlando per metafore, si può intendere tutto e il contrario di tutto, resto n’attimo in silenzio cercando il correlato simbolico del concetto, poi fugo ogni dubbio: “Ma in che senso?”. “Eh, perché quest’anno il 29 febbraio non esiste!”.
T. ha un ottimo aplomb. Lo ammiro per questo! E’ signorile e composto anche quando, raramente, piange. Tuttavia mi colpisce la storia del suo compleanno saltato… Un compleanno una tantum, una nascita precarietta – mi vien da pensare -, un giorno per lui solo ogni 4 anni… Mai ‘na gioia, tipo. Perché non ha festeggiato lo stesso la sua vita?
Beh, penso, forse la faccenda colpisce più me, dato che lui ci sarà abituato. Io il mio 23 maggio me lo tengo strettissimo e in vari modi, anche semplici per carità; festeggio alla mezza del giorno prima ed anche il giorno dopo, il 23 appunto; e se per caso cade di settimana, poi faccio volentieri il replay di sabato per acciuffare qualche amico inghiottito dal lavoro nei giorni feriali. Dico, per una come me che per lavoro e/è deformazione professionale è al servizio degli altri ci sta… altro che aplomb, ma anche altro che narcisismi! Qual che è mio, è mio o “quando è tua, è tua”, direbbe perfino il mio Super-Io. …Ma T.? Come può dire così serenamente che lui quest’anno non ha fatto il compleanno?
La cosa mi colpisce proprio per la precarietà di attenzioni che mi passa. E mi fa pensare, pensare tanto; anzi tantissimo. La mia forma mentis mi conduce ad altri antri della mia vita e va decisamente oltre T. Penso alle sfere di esistenza di ognuno di noi, in particolare alle mie. Penso a quei bambini non visti dai genitori, mere appendici narcisistiche dei loro bisogni (in)consci, semplici funzioni, quasi oggetti. Mostruoso? Forse no… Oppure lo direste solo perché si parla di bambini? Ma quei bambini poi diventano gli adolescenti contesi dai genitori separati che vediamo in studio per via (ad esempio) di tagli o bulimie, le ragazzine abusate incazzate nere col maschile, le quarantenni fagocitate dalle madri che senza di loro non vivono, i tossici vissuti all’ombra di padri “falliti” e le donne bullizzate dagli uomini. Tutti adulti che i più potrebbero liquidare come bamboccioni, esagerati o viziati.
La cosa mi colpisce. E non mi colpisce solo sul livello professionale. La cosa – ovvero i milleformi livelli di inesistenza o di esistenza precaria in stile “29 febbraio ad libitum” – mi colpisce molto anche sul personale, mi tocca nel mio privato emozionale e portfoliale e nel mio ruolo pubblico di abitante del mondo.
Perché è quella forma di esistenza precaria per cui per i miei “muratori di fiducia” io esisto solo se pago (ovvero se commissiono nuovi lavori) e NON se chiamo per far sistemare le robe fatte ad mentula canis che ho già profumatamente pagato.
Perché è quella mancanza di rispetto e di riconoscimento per cui per trovare un giardiniere (giacché, pur non avendo un pene, ho un giardino da curare e il desiderio di creare un piccolo orto) devo fare mille colloqui e sfanculare varie persone. E questo giacché appena mi vedono “femmina” e pure “lavoratrice” visualizzano un pollo da spennare e da prendere per il culo e mi chiedono 300 euro solo per togliere l’erba in manco 100 metri quadri, mi vengono in 2 (con la richiesta di essere pagati entrambi) quando ne avevo assunto uno, mi palliano e rigirano sugli orari e sulle necessità del mio giardino, provano a farmi fessa con frasi a effetto mascolin-autorevoli (letteralmente,“tu hai bisognoooo!”) e non mi guardano in faccia, rivolgendosi al mio compagno piuttosto che a me, nonostante il giardino in oggetto sia mio, li paghi io, insomma nonostante la datrice di lavoro sia chiaramente io.
Perché è quella truffa che ti coltivano alle spalle quando sei intelligente, fai troppe domande, chiedi chiarimenti e osi lottare per ciò che ti spetta di diritto (ad es. una casa senza muffa per come l’hai affittata); ma per questo oltraggio vai eliminata! Così con me certi tizi non ci vogliono parlare, si scelgono il pollo più buono e svagato da raggirare e dopo un anno però mi ritrovo a dover pagare anch’io oltre duemila euro di finti danni tramite avvocati.
Perché, ancora, è quella situazione di reductio ad silentium o ad absurdum in cui sei un’insegnante che lavora pensando e non per acchiappare denari e che insegna come stare nel mondo, oltre che nozioni, inevitabilmente opponendosi ai bullismi dei colleghi sulle alunne, cosicché la bullizzata diventa lei (!!!).
E perché è anche quella strana forma di precarietà per cui se io commissiono un lavoro, ad esempio il montaggio di una casetta di legno (prendendomi quel giorno libero dal lavoro e incastrando consegna, bel tempo e varie ed eventuali), la persona assunta si può sentire in diritto di disdire alle 8 del mattino un appuntamento preso 10 giorni prima.
Ah, dimenticavo che è anche quella strana forma di negazione del mio diritto di guidatore a stare nella corsia di sorpasso in autostrada dato che, facendola ogni giorno, ci ho preso la mano e tocco spesso i 130 km/h pur avendo una normale utilitaria; per questo “zoccola” me lo sono sentito dire non so più quante volte… come avrò osato guidare? Come posso pretendere, avendo la vagina, di superare i 60 Km/h? Mi merito allora gli stronzi mimosari che si attaccano al culo della mia Hyundai arrivando sparati (e fuorilegge) a 160, che io lascio educatamente sorpassare e che per rappresaglia iniziano a inseguirmi rallentando per farmi passare, per poi risuperarmi col fine di mostrarmi chi comanda. Ad libitum.
In effetti, capisco che questa è la mia ferita: ne ho già scritto e parlato tante volte. La ferita che brucia è che l’Altro, in questo mondo precario in cui la precarietà è coltivata anche da queste cose che facciamo (e fate voi!), non esiste! Indifferente è che faccia il compleanno il 29 febbraio o che non nasca mai. Soprattutto se è intelligente, se è creativo, se pensa, se osa, se va in direzione ostinata e contraria (la sua) e qualche volta anche se è donna.
La faccenda è dunque stratificata come una millefoglie. Il negato diritto di esistere, di nascere e di rinascere ciclicamente, di essere in questo senso riconosciuti da noi stessi e dalle persone con cui collaboriamo e con cui con-viviamo comunitariamente e di essere per questo rispettati esattamente come gli altri non nati il 29 febbraio, non figli della gallina nera o della pecora gialla, mi ferisce e mi ha sempre ferito. Forse addirittura mi ferirà sempre proprio come lui, come il 29 febbraio: lui che è un giorno speciale, raro, che non ha diritto esistenza, che è poco previsto o comunque previsto solo negli anni bisestili. Raro il rispetto. Raro il riconoscimento. L’altro è un pollo da spennare, non da festeggiare come fosse OGNI GIORNO il suo compleanno.
Il fatto è per altro complicato dall’evidenza che chi nasce il 29 febbraio festeggia il compleanno solo ogni 4 anni, ma invecchia come gli altri. Eppure, poiché il suo 18° compleanno cadrà dopo ben suoi 72 anni di vita, forse, invece di “festeggiare” le sue nascite e rinascite, il giardiniere si prenderà la briga di trattarlo sempre come un bambino non senziente (!!!).
(…Io comunque ci tengo davvero, anche se non leggerai: tanti auguri T.!)