Lasciare Siviglia per me è sempre stato difficile. Sarà che ho il trauma dell’ex erasmus nostalgico: quando la lasciai dopo quella meravigliosa esperienza ne rimasi distrutta tipo la vecchia pubblicità della famosa crociera con la tipa nella vasca da bagno che piangeva dopo essere tornata dalle vacanze. Io mi sento un po’ così. Un paio di giorni fa parlavo con un amico spagnolo e per esprimergli il mio stato d’animo ho coniato il termine di “jet lag emocional”. Mi devo riprendere da tutte le emozioni provate tra il dover lasciare Siviglia, il rientro in Italia dopo 9 mesi, la visita alla mia città, ai miei genitori, agli amici del posto, il trasferimento a San Vito lo Capo e il dover iniziare a lavorare per una nuova stagione estiva: è proprio un jet lag emocional.
Esistono diversi gruppi Facebook dove tanti utenti raccontano esperienze della loro vita all’estero e molti post vertono sull’argomento “ripensamento”, ci si chiede, cioè, se si ha voglia di tornare a vivere nel Bel Paese o se invece giammai, e soprattutto perché. La maggior parte delle risposte sono negative e adducono motivazioni di tipo lavorativo e sociale: lavori che in Italia vengono sottopagati, in altri paesi non lo sono; in Italia molto spesso non vi è meritocrazia; la sanità e la burocrazia sono lente mentre in altri posti è tutto digitalizzato o facilitato; eccetera eccetera.
Nel mio caso, e ci tengo a ribadire che io non sono espatriata per motivi lavorativi (perché a Siviglia non è diverso da casa mia a livello lavorativo, sì invece a livello sociale), ma perché mi piace vivere in quella città. Uno dei motivi per cui non tornerei in Italia è la mentalità maschilista e patriarcale che impera sul nostro suolo italico.
Ora non iniziate ad offendervi perché con ciò che affermo non voglio dire che tutti gli italiani siano machisti mentre gli spagnoli perfetti (cioè, lì esiste VOX)! Però noto tanto la differenza all’interno delle situazioni in cui mi trovo rapportandomi con le persone.
In una settimana di permanenza tra Trapani e San Vito lo Capo ho subito talmente tanto cat calling che ormai quando qualcuno che conosco mi chiama da lontano nemmeno mi giro più, perché tanto penso: sarà qualche ignorante. E come dice il controllore ad Ajeje Braazorf «ignorante nel senso che ignora» che determinati comportamenti nei confronti di una persona – in questo caso di una donna – rappresentano violenza.
Secondo me – e l’ho vissuto sulla mia pelle – non si capisce bene (perché nessuno ce lo spiega davvero) cosa sia o no “violenza”. “Io non sono violento” non è solo non picchiare una donna ma è anche non squadrarla dalla testa ai piedi quando ti passa accanto, per esempio. Nemmeno io mi sono resa conto per anni delle violenze subite, perché purtroppo, per come mi è stato inculcato, ciò che ho vissuto non era violenza ma “situazioni particolari” o “e vabbè”. Ora ho capito che se qualcuno fa qualcosa contro la mia volontà è violenza, anche rompermi i coglioni fino a quando non gli do il numero di telefono! “No è no”, non vale solo per il “non te la do” ma per tutto. E soprattutto per tutti, indifferentemente dal genere.
Tornando al mio rientro, in questi giorni e in merito a queste cose, mi si è creata l’impressione che qua gli uomini etero non abbiano mai e poi mai visto una ragazza. Non in senso lato ma proprio una ragazza che si appropria degli spazi della sua città che normalmente sono di dominio dell’uomo bianco cis privilegiato. Una ragazza che si appropria della sua libertà sessuale che di norma è solo dell’uomo bianco cis privilegiato (nero, solo se ha i soldi e viene a spenderli). Una ragazza che si prende la libertà di ribattere ed esigere ciò che le spetta di diritto, libertà che è implicita in tutto ciò che fa l’uomo bianco cis privilegiato.
Ma tu di più, ma tu di più, come cantava Cristicchi citando Antonacci: questi problemi esistono ovunque nel mondo, ma in Italia di più rispetto ad altri posti. E purtroppo è perché c’è poca accettazione di questo “privilegio”. In Spagna vi è più sensibilizzazione su questi temi e – fortunatamente – molti ragazzi spagnoli che conosco sono coscienti della loro posizione (ho sottolineato “spagnoli” perché in Spagna conosco anche ragazzi italiani che non sono coscienti di possedere tale status).
Per concludere, a Siviglia vivo in una strada piena di impalcature sulle facciate delle case in ristrutturazione e tantissimi lavoratori con scarpe anti infortunio e caschetti gialli (strano, vero?). E passa e spassa sutt a sto balcone e nessuno mi si fila. All’inizio ho avuto anche dei problemi di autostima, “forse non sono abbastanza degna di essere notata”, ma no, tranquilla, è che non è scritto nel codice genetico del muratore che deve per forza fare la radiografia ad una ragazza quando passa.
“Bambola! Tu pozzu offriri un cottel?” Tranquillo, bebi, quando è pronta la lastra dei raggi te la spedisco per posta. Che schifo!