Storytelling – Immobile

È di nuovo giorno. Caffè e sigaretta e guardare fuori dalla finestra. Sono tutti uguali ultimamente, non c’è varietà, non c’è diversificazione. Così come le facce che vedo: no varietà no diversificazione. Eseguire meccanicamente azioni, calate di capo, sorrisi, stampa, copia, incolla, control qualcosa. E tu tu tum, tu tu tum, i rumori del tram di sottofondo alle mie cuffie ancora coi fili, sono una fottuta millennial. Casa, doccia, cena. E da capo.

Ricordo cosa ho fatto il giorno dopo che siamo stati insieme. Mi era finito il latte, dovevo andare a fare la spesa e quando vado a far la spesa raramente compro tanto cibo, prendo solo quello che mi serve, altrimenti va a male. Quel giorno però comprai cibo in più e – oh, non lo faccio mai – perfino una pizza surgelata, di quelle che la metti in forno e in 5 minuti è pronta. Così, pensavo, la prossima volta che fossi venuto a trovarmi non avremmo perso troppo tempo a cucinare. Ricordo tutto ciò perché, beh, sto proprio mangiando quella fottuta pizza. Da sola, davanti ad un film che ti avevo detto avrei voluto vedere con te. E invece nessun film, nessuna pizza. Un amore mordi e fuggi. 

Le piazze sono più belle la notte, deserte, con le luci sinistre della città vuota. Le attraversi e il suono dei tuoi passi rimbomba. Il selciato raccoglie la sporcizia tra un’intersezione e l’altra delle pietre. La sedimenta, la ingloba e ne fa parte di sé. Come l’anima ingloba e sedimenta la mondezza che le viene gettata contro. Si crea così questa ramificazione di vie e viottoli che rimangono immobili e calpestati per anni, un tutt’uno con la contemporaneità della vita. I clacson, le case, i mezzi, le bancarelle, tutto si confonde e si amalgama come in un’armoniosa bolla di cristallo con la finta neve. La scuoti e si muove solo la polverina bianca mentre tutto il resto: immobile.

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