Oggi è venerdì. Ogni venerdì, sono felice di iniziare il mio momento di pausa, di riposo necessario a qualunque essere umano dotato di limiti. Questa settimana è stata particolarmente dura: una di quelle in cui non trovi il tempo di scrivere per Abattoir (grazie Cristina per avermi aiutato!), di portare il pc rottosi improvvisamente a riparare (grazie Andrea per l’assistenza serissima da remoto!), di ricordare tutto il ricordabile per evitare problemini inattesi (grazie Cristina per avermi soccorsa!), di stare col tuo compagno (grazie Anto per la pazienza e la collaborazione) e di depilarti (grazie a me per accogliere le mie imperfezioni). Una settimana, insomma, in cui vorrei molto dormire e rallentare… una di quelle in cui ti ricordi perché non riesci a fare più volontariato.
Eppure domani ho un volo… Un volo per Torino che in qualche modo sembra una contraddizione rispetto a tutto questo – giacché mentre dico che desidererei star ferma me ne scoppo al Nord! -, e che invece è un volo preso per una iniziativa che di tutto questo si occupa. Vado infatti a Torino per un incontro di “Cittadinanza Riflessiva”, iniziativa che seguo da qualche mese e a cui mi sono affezionata attraverso il Laboratorio di Gruppoanalisi.
A febbraio scorso infatti ho partecipato a delle Lectures teorico-pratiche in cui Marina Mojovich e Alice Mulasso hanno fatto sperimentare a noi colleghi psicoterapeuti un metodo di “cura di comunità” sperimentato in Serbia per ritessere le trame sociali distrutte dai traumi della guerra civile. Questo metodo usava i sogni come materiale di lavoro aggregante e il dialogo in gruppo, la parola, come strumento per mettere e rimettere insieme le persone atomizzate dalla vita e dai conflitti. Me ne sono innamorata! Cosa di più sensato d’altronde per una gruppoanalista? E cosa di più logico in un mondo in cui la solitudine schiaccia e il diktat imperante della competizione paranoica isola sempre più? “Perché non si fa più, tranne con mia moglie non si parla più così, sul mondo, per il piacere di parlare”… Così diceva una delle persone incontrate ad una cittadinanza sotto i tigli di Chieri. Parole semplici e devastanti al contempo: non si parla più per piacere! Non si creano più immagini insieme, idee, sogni collettivi! …Non è forse questo il crollo degli ideali sociali che viviamo? E a ciò dovremmo arrenderci? Nonostante lo schiacciamento mi tolga spesso il fiato, questo non l’ho mai pensato. Così ho iniziato a partire per sperimentare, imparare e, chi lo sa, forse portare la faccenda a Palermo. Nonostante i voli e le stanchezza arretrate, nell’andare a prendere una nuova cittadinanza (la cittadinanza di “cittadina!”), io mi sono sentita rinvigorita e allora voglio parlarvene, poco prima del mio aereo, nonostante le occhiaie. Lo farò piano, poco alla volta. Eccovi per iniziare cosa dice il flyer di invito alla C.R.:
“La Cittadinanza Riflessiva è uno spazio in cui riflettere insieme sulle tematiche inerenti la cittadinanza responsabile di fronte ai profondi cambiamenti sociali e climatici che avvengono nel presente e che avranno un impatto sul futuro della nostra comunità. Abbiamo la responsabilità, come cittadini, di pensare il presente per poter costruire insieme il futuro.
E’ uno spazio aperto alla diversità, in cui apprendere ad ascoltare e dove essere ascoltati, in cui DIALOGARE attraversando stati d’animo e pensieri molteplici e faticosi quali la frustrazione, la rabbia, il non comprendere e il sentirsi incompresi, la paura, la vergogna, la colpa, ma anche uno spazio in cui esprimere sentimenti positivi quali l’apprezzamento, la speranza, l’amore, etc. La C.R. incoraggia quindi i cittadini a pensare per la loro comunità e ad auto-organizzarsi, senza tuttavia nutrire l’ambizione di diventare un movimento politico.
Durante questi incontri è possibile cogliere le multi-sfaccettature delle relazioni personali, familiari, regionali, comunitarie, europee. Ne consegue che la valorizzazione della complessità rappresenta uno dei suoi valori centrali. La C.R. non ha la presunzione di giungere insieme a conclusioni omogenee, pur trattandosi di un bisogno umano che, quando emerge, va riconosciuto e contenuto per quanto possibile. Al contrario, uno dei principi fondamentali della Cittadinanza Riflessiva riguarda la presenza di partecipanti provenienti da ambiti sociali, storici, politici, etnici, religiosi, di età, genere, professionali e ideologici il più eterogenei possibile. Il dialogo nel gruppo favorisce il pensare insieme e la conseguente nascita di pensieri nuovi per quella situazione.
La capacità di dialogare e pensare è più che mai indispensabile oggigiorno per poter aprire spazi di riflessione sulle sfide ed i rischi della contemporaneità, per farsene un’idea personale e collettiva senza fermarsi alla comunicazione affidata agli slogan che prolifera nei media e nei dibattiti politici.”
E insomma vado, imparo, sento, mi metto in gioco e coltivo l’unico modo che conosco, in gruppo, per occuparmi di cura di comunità, di nuovo patto sociale, di trame da ricostruire, di dolori e paure e speranze collettive!
“Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi ed impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l’unica cosa che è sempre accaduta” (Margaret Mead).