House arriva in infermeria e si presenta ai malati in sala d’attesa: “Buongiorno malati! E buongiorno anche ai loro cari! Tanto per non perdere tempo con inutili ciance, io sono il dottor Gregory House, potete chiamarmi Greg. Sono uno dei tre medici di servizio in clinica stamattina. […] Io sono un abilitato, un diagnosta, cronicamente annoiato con duplice specializzazione in malattie infettive e nefrologia, nonché l’unico medico che lavora qui contro la sua volontà. È così, no?! Ma niente paura, per molti di voi per fare il mio lavoro basterebbe una scimmia con una scatola d’aspirina. A proposito, se siete particolarmente seccanti mi vedrete prendere questo, è Vicodin, è mio, non potete averlo! Oh no, non ho il problema del controllo del dolore, è proprio il dolore il mio problema. Ma chi lo sa, magari mi sbaglio… Forse sono troppo impasticcato. Allora, chi sceglie me?” [nessuno alza la mano] “E chi preferisce aspettare uno degli altri due?” [tutti alzano la mano].
1) E’ un martedì. Ho preso appuntamento dal mio medico di base, che ho cambiato da qualche anno. L’ho cambiato perché il precedente aveva 2 studi per avere più pazienti, cosa che, a quanto pare, non poteva essere fatta. Quando fu scoperto, mischino, dovette chiuderne uno, cosicché lui, per non perdere la moltitudine dei suoi pazienti, propose loro sottobanco di vederli in farmacia di nascosto. Poiché si vociferava che fosse proprio un bravo medico, i più se l’accollarono e il tracchiggio durò per qualche anno.
Alla fine però giustizia volle che rimase come unica scelta quella di andare allo studio originario, in zona stazione centrale ( O_O ), a fare ore di fila tra moltitudini di pazienti in uno studio di 6 metri quadri per 3. Nella disperazione, cambiai per il medico di famiglia del mio compagno, “curante” della sua famiglia da decenni, addirittura da quando il medico curante era padre di lui, da cui lui poi ereditò la medicanza ma non la passione per la stessa. Negli anni ne son successe tante, ma davvero tante, ma ne basta una: quella di martedì. Ho preso appuntamento via cel. poiché ho bisogno del vaccino anti-influenzale e di varie prescrizioni. Mi chiede la prenotazione per il vaccino, per il resto turno fisico. Allora vado e faccio il turno fisico per entrambi. Arriva il mio turno e lui esordisce dicendo che non ha il mio numero ( O_O ) e che non ha potuto avvisarmi che il vaccino per me non c’è. Mi oscuro in volto e gli faccio presente che ci eravamo sentiti qualche giorno prima proprio al cel. e che ho preso la mattinata libera appositamente. Lui ribatte che allora mi fa quello degli anziani, che però per me non va bene. Io allora chiedo lumi, e lui improvvisamente ribatte a mazze: “va benissimo” per me, “anzi è meglio!”. Sono confusa, ma non ho il tempo di riflettere che mi fa sedere e mi fa un’iniezione che diventerà un bozzo. Io dico: “ahi!”. Lui dice: “non si lamenta nessuno!”. Poi torna al suo posto e dice che per l’iniezione avrei dovuto stendere il braccio, oramai amen. Rivolgo uno sguardo torvo alla lettiga disordinata e stracolma di farmaci. Chiedo delle informazioni su altri farmaci che prendo, lui non sa. Poi mostro le prescrizioni di cui ho bisogno. Lui se ne va a parlare al cel. in balcone e intanto dice che non può farmele. Io esclamo: “ma come, ho fatto il turno fisico come mi ha detto!”. Lui alza i toni, io non comprendo, fuori ci saranno massimo altre 4 persone, mica tante… Ribadisce con tono brusco che mi manderà la ricette via mail. Io basita rispondo: “però così venire qui diventa spiacevole…”. A quel punto lui mi caccia sgorbutico.
Nel pomeriggio arrivano le ricette via mail e un messaggio in cui mi si dice che la prossima volta le ricette me le devo fare prescrivere dai medici specialisti, perché LORO (e non lui) sono pagati! Conclude dicendo anche che io sono maleducata. A quel punto non ne posso proprio più: “Caro dottore, non credo proprio che sia così. Si é comportato poco professionalmente oggi e non solo, io uso dire le cose per buona prassi e per costruire. I medici di base sono importanti per i pazienti. Cambierò al più presto, perché non sento che lei ami il suo lavoro e i suoi pazienti. Saluti. E il rispetto deve essere reciproco, non di categoria”. D’altronde, sul suo status sta scritto: “disponibile: mai”. Il giorno stesso ho preso un altro medico ad muzzum, e che Dio me la mandi buona.
2) E affinché non si dica che quella sfigata e maldisposta verso i medici – data la mia storia personale – sono io, aggiungo qualche chicca dalla nota serie: “Oramai ogni bambino che si rispetti ha almeno 2 pediatri: quello pubblico e quello privato”. Da nord a sud, fioccano infatti i racconti di amiche mamma avvilite secondo cui il pediatra della mutua non fa certificati medici per rimandare i bambini guariti da settimane all’asilo, non riceve in studio se non in casi di bambini che non mangiano e non dormono più (manco fossimo in lockdown!), non prescrive antibiotici nonostante i 39 di febbre da giorni, non azzecca la diagnosi da 1 mesetto o più. E fioccano anche i racconti favolistici di quei pediatri che per 100 euro a botta ti vengono a casa e ti fanno la diagnosi giusta, ti curano, riescono a far sorridere e a far aprire la bocca alla bimba più difficile e con 50 euro finalmente ti trovano la bronchite o il batterio che l’altro non aveva mai individuato.
3) Poi ci sono i miei pazienti del settore, che narrano, narrano, narrano. tipo della mancanza di personale, di come sia evidente il loro essere carne da macello, numeri, ma pieni di responsabilità, quantomeno finché il cervello non se ne va in burn out… Cosa che presto o tardi fa, per sopravvivere. Ansie a palate e storie di liti tra infermieri di ospedali della stessa AZIENDA sanitaria locale per chi lavora di più e chi di meno, per chi rischia di più e per chi rischia di meno. E infine la resa al metodo del triagista che se ne fotte del paziente col dolore toracico o che dorme tutta la notte ignorando i campanelli. Tanto, bene o male che si faccia, il contratto è a tempo determinato pure in questo periodo di disperata ricerca di personale, e se ti rinnovano lo saprai a malapena il mese stesso e solo se non crei problemi.
4) Dulcis in fundo, c’è la me-operatore sanitario che, dopo tirocini in note strutture pubbliche della città, rifugge qualsivoglia concorso pubblico perché, comunque sia e comunque vada, preferisce il privilegio di non avere nessun superiore che mi dica di fare MALE il mio lavoro (es.: non esiste nessuna stanza apposita per lo psicologo; non ci si sofferma nei corridoi dell’ospedale, anche se i pazienti ti chiedono aiuto; non si può fare una psicoterapia lunga neanche per i casi più gravi; si devono produrre dati e risultati, quindi è necessario impiegare il proprio tempo per somministrare test ai malati; il medico specialista ha il potere e può anche farti sedere sul cestino della spazzatura; etc.) al maleficio di non avere ferie o malattie pagate e tutele di qualsivoglia forma e tipo. Oggi, ad esempio, è sabato. Sono andata a fare la terza dose di vaccino e un operatore mi ha chiesto beffardamente quale fosse la mia professione. Al suono di “psicoterapeuta”, l’omino scoppia a ridere sotto la mascherina ed esclama sfacciatamente: “i liberi professionisti devono lavorare e quindi vengono a farsi il vaccino di sabato e di domenica. I dipendenti pubblici invece… di sabato e di domenica devono divertirsi, e poi vengono di settimana per mettersi in malattia!”. No comment.
Per noi che siamo cresciuti con E.R. – Medici in prima linea è impensabile che storie simili non siano vignette cliniche che si presentano agli specializzandi per indicare loro cosa fare e cosa NON fare. Udite udite, sono infatti storie vere e, per di più, fresche fresche degli ultimi 10 giorni. Pensate se estendessimo il range…
Il punto è che il pesce puzza sempre dalla testa e che nessuno in toto (tranne il mio ex medico curante ignorantissimo!) ha torto o ha ragione, ma che noi tutti dovremmo infuriarci, punto. Questi drammi medici degni di doctor House (che però quantomeno era bravo ed era un personaggio finzionale di una serie televisiva) sono figli del nostro tempo. Un tempo in cui il giuramento di Ippocrate è stato reso scientificamente carta da culo per prescrittori automatici annoiati di ricette e per malati collusi con un sistema che li vuole sempre più ammalati. La questione è infatti evidentemente politica: schifosa, ammalante (anziché curante!) e resa tale da quella politica ammiccante e invidiosa di una sanità americanista in cui “quantu spenni manci” e dove, se non si mangia, si muore e amen. La questione è politica ed è centrale, perché la strada intrapresa è anche qui – in un periodo in cui i sanitari dovrebbero essere sereni e fiduciosi punti di riferimento, corteggiati dal governo, tutelati dal sistema e sostenuti dai propri soddisfatti pazienti – in discesa verso lo sfacelo, verso il picciolo e null’altro, verso il nulla cosmico, mentre noi continuiamo a bollirci come rane.
…Quando mi chiamano per chiedermi se sono uno psicologo convenzionato, se faccio la mutua, io mi vergogno di non poter dire di sì; rispondo “mi dispiace, purtroppo no…” e sollecito i lamentosi utenti a reclamare loro stessi sempre più sanitari pubblici, accessibili, seri e ben formati. E’ un nostro diritto, è un vostro diritto.
In questi tempi da rane bollite, INSORGIAMO, cribbio!