Da adolescente ho visto una decina di volte Schindler’s list, e ripetutamente ho pianto; non alla scena della bambina col cappottino rosso (forse da padre adesso mi peserebbe di più), ma alla scena in cui il protagonista si rendeva conto che se avesse venduto un anello o un orologio in più avrebbe salvato altre vite. È lì che emergeva il contrasto tra il reale valore della vita di un ebreo e quel che valeva per i nazisti.
Lo stesso scarso valore dato al bestiame, che riceve tuttora lo stesso trattamento, seppur per fini solo economici e non anche razziali. Per me che non mangiavo carne scoprire che l’uomo può essere così crudele con i suoi simili, oltre che con gli animali, mi ha reso disilluso rispetto alla malvagità delle persone. Guardavo quella scena e piangevo in modo masochistico, come se avessi dovuto espiare la colpa di appartenere al genere umano. E soffrivo sulle tristi note del violino. Oggi si dice che ricordare serve ad evitare di fare gli stessi errori. Io dico che è la memoria del dolore che ci ricorda cosa ha causato ciò, e ad evitare nuovo dolore. Toccando una pentola che scotta proviamo dolore, è questo che fa sì che togliamo subito la mano. La memoria di quel dolore fa sì che la prossima volta useremo una presina. E allora che ben venga il dolore del ricordo, quel male che ci ricorda come una persona, un popolo, siano diventati solo qualche anno fa così poco empatici e crudeli.