Oh, non so che dire! Una cazzo di laurea in relazioni internazionali e non so che dire! Invece la gente parla, non sa diche cazzo parla (cit.). L’altra sera, avvinazzati e fumati, abbiamo fatto un karaoke in terrazza di un amico. Eravamo francesi, italiani e spagnoli, come in una barzelletta di cattivo gusto. Abbiamo cantato “We are the world”, una canzone che alle medie cantavo ad ogni fottutissimo saggio scolastico! Tra acuti stonati e interpretazioni discutibili interiorizzavamo il messaggio che quei “children” di cui parla la canzone eravamo noi. We’ll make a better day, just you and me.
Siamo noi quella generazione cresciuta a suon di canzoni sulla pace e sull’importanza dell’unione, dell’amore tra popoli, della comunità. Siamo la generazione erasmus, la generazione di Pelù+Jovanotti+Ligabue. Neanche i gamers che sparano tuto il giorno davanti allo schermo si sognerebbero di sparare per strada nella vita reale. E se così fosse, bro’ hai un problema.
“Preferisco ammazzare il tempo, preferisco sparare cazzate”, cantava Michele e Capovilla auspicava un carrarmato di rock che facesse morire di musica e non di paura. Una delle prime canzoni che ho imparato a strimpellare con la chitarra è stata “Wind of change”, grazie alla quale mi immedesimavo in quei children of tomorrow che sognavano e sentivano un vento di cambiamento. La mia prof di inglese al liceo ci fece svagare un giorno portandoci il testo e facendoci cantare i Black Eyed Peace con “Where is the love”, meraviglioso inno alla fratellanza e alla tolleranza.
Non avremmo avuto questa meraviglia musicale se, in fondo, non fossimo sempre stati costantemente in guerra. La guerra c’è. Esiste. Ed è una guerra incessante. Ci sono guerre in sordina alle quali siamo abituati per via del bombardamento mediatico (sì, lo so, triste scelta di parole) e guerre nuove ai nostri occhi perché alla luce del sole e incarnate da una persona specifica che parla di minacce e di cose a noi incomprensibili come confini, territori, storia nazionale… Sulla mia generazione questi discorsi non fanno leva, se lo facessero starei in guerra per riprendermi la Dalmazia! Ma non è una partita a Risiko.
La guerra c’è. C’è sempre stata. Esiste. Ma è tutto ok perché i messaggi di pace non sono cessati. La voglia di amore, fratellanza e collaborazione non si è mai spenta. A volte è sopraffatta ma proprio per questo poi si rialza più forte di prima e canta a gran voce che “the world must come together as one”.
Bel quadro sociale.
Certo, difficile capire l’Incongruenza tra canti e carrarmati veri… Sembra quasi un perculamento. E quindi difficilmente riesco a sperare così!
Tuttavia mi rendo conto che é importante farlo, Dare un senso ai canti, ricordare gli insegnamenti di una parte del quadro sociale… (Basta che non siano simulacri per impegnare i cantori appassionati, mentre l’altra parte del quadro si fa i proiettili veri suoi. IL DUBBIO C’É. )