Clicco e metto play: mentre un orologio va con tamburi e chitarre, sento meglio ciò che ho dentro. Il video poi è perfetto per questi giorni in cui cadono bombe.
Due notti fa in effetti ho sognato che una bomba si sganciava dal mio cuscino. Poi andavo a rifugiarmi nel mio letto singolo di ragazza e mi coprivo le orecchie con i cuscini dello studio. In studio in effetti ascolto le bombe che cadono dentro le vite degli Altri. D’altronde, anche quando non si parla di guerra, la guerra l’abbiamo dentro noi stessi… i termini e le immagini che usiamo sono bellici, guerrafondai, conflittuali. “Questo è l’animo umano”, direbbe Freud in austriaco. Ma ciò che intendeva lui era più interessante, ritengo, di questo stato di conflitto permanente in cui NON ci si gioca la vita, ma il potere. (Concedetemi di far finta che si possa fare questo distinguo.)
Ci vuole coraggio, in effetti, a vivere così. Mi risuonano le parole di un esimio prof. che, parlando di abusivismi, mafie e cali demografici, annuiva dicendo: “Tutto questo lo stiamo facendo ai nostri figli!” …Una rivisitazione documentata e oculata della retorica di mio nonno: “Che mondo lasceremo ai nostri figli?”. In ogni caso, come dar loro torto? Qualcuno arriva anche a declamare il NON senso di far nascere qualcuno in un mondo che adula la morte e schiaccia i veri vivi. Come dar loro torto?
Sento la frustrazione di provenire da generazioni folli che – come dicono molti – si sono mangiate la vita che avrebbero dovuto trasmettere. Generazioni cieche che, mi dice A., si chiedono come mai non diamo esami all’università dopo averci picchiato per anni, istigato a essere greggi non-pensanti o esseri familiari, omologati ad aspettative non soggettuali. Generazioni che “cazziano” per i ritardi, le droghe, le uscite e i poliamori a 40 anni suonati… “Non do esami, papà, perché sono depressa per quello che mi hai fatto! Come mi concentro, dormo o studio se mi hai cresciuto nella follia, nel dolore? Se mi spintonavi in corridoio per stronzate? Come mi trovo, se mi amerai solo se sarò come tu vorrai? Dimmi! Dimmelo! Come costruiamo un bel futuro se il mondo è per i soliti noti, per gli egoisti come te o per lottatori di sumo narcisisti e armati fino ai denti? Come imparo ad amare, se voi siete l’anti-amore?”.
Molte radici soffocanti, poche ali per volare. Queste le eredità ricevute dai più… Ed anche socialmente.
Allora come darci torto?
Mi spiace per le ridondanze, ma sono effettive, non solo stilistiche. Perché veniamo da questo e i risultati, in effetti, sono questi: che a 40 anni siamo ancora in guerra e, se va bene, in costruzione. Dopo anni di infelicità e, se va bene, di psicoterapia, i fortunati si chiedono finalmente e dolorosamente che fare di se stessi, finalmente animati delle più belle speranze, ma non delle più belle forze, perse nel tentativo di salvarsi la pellaccia in mezzo alle eredità mortifere ricevute… “Tic toc, tic toc, Toc tic”. Siamo maledettamente in ritardo. Voi, noi e chi verrà dopo di noi. Ma non lamentiamoci, non lamentatevi. C’è speranza.
Ultimamente in analisi si parla più spesso di pecore nere. Un ragazzo ha preferito per la precisione l’idea di “capra nera” (“più agile, selvatica, cocciuta, avventuriera”). Un altro ci sta scrivendo su una scenografia teatrale. Loro sono il mio orgoglio… Con quanto coraggio lottano per la vita “propria”…! Quello che non ha chi ci governa a colpi di valigette “Cheget” e di sanzioni paraculiste.
Purtroppo, nel mondo animale le pecore hanno solo il 4% di possibilità di nascere nere.
Presso gli allevatori di bestiame la lana bianca è considerata particolarmente pregevole, perché facile da colorare. Per non comprometterne la qualità, le pecore nere vengono generalmente trattate in maniera separata oppure escluse dalla tosatura. Tuttavia, a partire dal X secolo d.C., la lana scura cominciò ad essere apprezzata per la sua colorazione naturale e per la sua estrema morbidezza. Inoltre, essendo molto rara (le pecore hanno solo il 4% di possibilità di nascere nere) veniva usata soprattutto per accessori o capi di abbigliamento costosi, riservati quindi alla nobiltà. In quel secolo l’espressione “la pecora nera del gregge”, che cominciava già ad essere usata nelle zone popolari, acquistò anche un senso positivo, poiché spesso questa rarità conduceva alla ricchezza. Negli allevamenti incentrati sulla produzione della lana, le pecore nere sono particolarmente mal accette.
MA!
Non per la lana
esiste il gregge
Né per la legge
!
PURTROPPO, “I montoni più aggressivi e che mostravano una maggiore resistenza al controllo umano venivano macellati per primi. La stessa sorte era riservata alle femmine più magre e curiose (i pastori non vedono di buon occhio le pecore che tendono a uscire dal gregge). Una generazione dopo l’altra, le pecore divennero più grasse, più remissive e meno intraprendenti” (Y. N. Harari).
LA SITUAZIONE E’ QUESTA: molte radici soffocanti, poche ali per volare. Queste le eredità ricevute dai più… Ed anche socialmente.
Mi spiace per le ridondanze, ma sono effettive, non solo stilistiche. E alcune sono oggi assolutamente necessarie, perché “Tic toc, tic toc, Toc tic”: siamo maledettamente in ritardo. Voi, noi e chi verrà dopo di noi.
“Si vis pacem, para bellum” un corno! E non lamentiamoci, non lamentatevi. Non seppelliamoci dietro i paraculismi come molti hanno fatto prima di noi! Armiamoci di pazienza per generare una nuova lotta soggettiva e pacifista, anti-convenzionale, anti-gregge, anti-egoismo, anti-guerra, anti-mainstream, anti-bomba! C’è speranza nel nuovo, nell’invenzione, nel tempo delle pecore nere.
Parliamone!
zen nel cuore!
Siamo in dittatura.
Ops! L’amore è una dittatura!
Sorry, sì, c’è speranza!
Esatto: Ambivalenza assoluta!
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