Le scoperte dell’estate

Turchia
Spazzavano anche gli aghi di pino!”. Ho ripetuto questa frase quasi sempre nei miei racconti di viaggio, e con essa pure l’immediato paragone con l’area archeologica di Sòlunto ri-visitata qualche mese fa e trovata in un pietoso abbandono… Il mio dire, in mezzo ai miei racconti di viaggio, fungeva a glorificare la sorpresa di aver scoperto uno spicchio di mondo più bello e curato di quanto le mie previsioni politico-culturali osassero ipotizzare. Anzi, riformulo con onestà intellettuale: “Ho ripetuto questa frase […] con un certo amaro in bocca nello scoprire un mio pensiero colonialista e ignorante ed i miei pregiudizi politico-culturali”.
In ogni caso, con un po’ di vergogna, ammetto che sono stata ben felice di ammirare ed invidiare il patrimonio turco… O comunque quel micro-spaccato che un tour forsennato di una settimana ci ha concesso di conoscere. Che poi, perché una settimana? Come si fa in 7 giorni a percorrere per due volte oltre 700 km pur di spingersi fino ad Ankara, per poi tornare a Smirne? Emin, la nostra guida turca, diceva che oggi tutto è più veloce: “questo tour prima si faceva con almeno 2 giorni in più!”… “Troppo veloce” è in effetti la sensazione che mi riporto in Italia, insieme al fascino sub-odorato in Turchia:

  • i colori delle moschee, le forme accoglienti delle loro lampade di vetro appese ai lampadari, il modo dei fedeli di abitarle (facendo scuola lì, mangiando patatine, pregando, dormendo, …);

  • il canto mistico-lamentoso dei Muezin che arriva ovunque tu sia (anche nelle sterminatamente poetiche valli della Cappadocia);

  • la totale assenza di mascherine e di norme anti-covid (sia da parte dei turchi, sia dei turisti di qualsivoglia nazionalità);

  • i paesaggi anatolici (camini delle fate, monasteri rupestri, valle delle rose e dell’amore, città sotterranee, case nella roccia, collinette chiamate “meringhe” …e su tutto questo – oddio! – andarci con le mongolfiere!);

  • il desiderio di ciò che mi sono persa a causa della frenesia (tipo le notti non vissute per via della forte stanchezza);

  • le bellezze ben curate – eppur vissute! – e le antiche rovine stupefacenti (come se in Italia non ne avessimo…);
  • l’idea che Istanbul fosse un “mostro” (per il suo traffico, “minimo due ore per arrivare a lavoro”, diceva Emin), ma anche la gente del luogo che se ne gode compostamente ogni angolo, addirittura seduta in gruppo dentro le aiole;
  • i racconti politici della nostra guida su Ataturk e sul sogno pan-turco, sul senso delle bandiere appese in risposta agli attentati fondamentalisti, sul non-senso dell’economia agricola attuale neo-capitalistica… Gli oltre 700 km che abbiamo percorso per arrivare ad Ankara mi sono costata la scoperta dei “semi castrati” (ovvero produttivi una sola volta), realizzati per rendere l’agricoltura locale dipendente dal commercio internazionale di sementi e o dalle voglie del mercato. Scelte politiche insomma, scelte di sfacelo. Anche questo è stato “viaggio”…

E c’è tanto altro. Ma ecco, innanzitutto la fretta, le corse, le levatacce alle 3 o alle 5 del mattina (che di tutto sanno per me tranne che di vacanza) mi hanno lasciato col desiderio di averne ancora, cosicché ad oggi, passato esattamente 1 mese dal mio rientro, non c’è giorno che io non ne scriva, non abbia voglia di parlarne, non riguardi le foto e non fantastichi sulla Turchia e sul mondo che non conosco. …La contrazione dei tempi ha generato l’espansione del mio desiderio interiore (la lancio lì: chissà che non funzioni così anche rispetto ad altre dinamiche psicosociali…), rendendomi un piccolo Ulisse nostalgico…

Io non sono il mio lavoro
Io amo il mio lavoro, ma non sono il mio lavoro, non solo! Il lavoro permea la mia identità, ma è esattamente vero anche il contrario: la mia identità partecipa in toto al mio lavoro, in primis nella scelta di svolgere proprio quello e nel modo in cui lo svolgo. Ma c’è anche altro. Queste ferie e questi appunti di viaggio – in questo caso un viaggio interiore che nasce dall’evidenza che non sapevo come presentarmi ai miei 38 compagni di gruppo se non dicendo che “sono” (non “faccio”, ma “sono”) una psicoterapeuta! – mi hanno molto fatto riflettere, ben prima del post di Tlon. La riflessione è questa: spesso anche un’anima mediamente ricca e curiosa può alienarsi nei ritmi e nelle pretese di adeguatezza del mondo di oggi, soprattutto del mondo del lavoro di oggi, che ci vuole performanti, carrieristi ad ogni costo e tutti un po’ narcy avidi di gratificazioni immediate del tipo “sei bravissimo, quindi fai sempre meglio e di più”. E con che risultato? Di estenuarsi, stancarsi, vivere nel dovere e nella progressiva sterilizzazione di ogni eros spontaneo, non apparente, a-produttivo, solidale e intimistico. Io NON voglio che ciò mi accada! Ma non basta non volerlo… l’unica è monitorarsi mentre facciamo parte di questo mondo tossico che ci vuole “adatti” alle sue traiettorie e mai “devianti” (per aggiungere una citazione squallido-politica del periodo…), mentre proviamo a cambiare pian pianino qualcosa del nostro modus vivendi. Con gli amici abbiamo passato il ferragosto a parlare di “decrescita felice” e da un mese in effetti mi nutro solo della frutta che cresce nel mio giardino. Non siamo esattamente piccolo-borghesi, non ancora… Ma potrebbe accadere! Potremmo dimenticare (o mai conoscere?) qual è la vera erotica della vita, che forma ha una pianta di melanzana, qual è la differenza tra api e vespe, quali sono i frutti di stagione, cosa è il maggese, come sta il nostro compagno… Finendo per pensare che la veravita si svolga a lavoro e su Tiktok…

Il mare e Diego
Ovvero il tempo in cui viviamo, la reale consistenza dei minuti, delle ore, del tempo della mente che – come dico sempre ai miei pazienti – è molto più lento di quello del mondo lì fuori…
Il mare in me sollecita questo tempo, soprattutto il mio mare: quello a 5 minuti da casa, dove si va non per dovere sociale ed estetico ( = abbronzarsi), ma per desiderio, dove ci si dimentica della vergogna di non avere un corpo perfetto, dove ci si sente a proprio agio anche se le celluliti aumentano isomorficamente all’età, dove non ci si stanca di svuotare la mente e di ammirare rumori, colori, immagini note e non note, lasciandosi accarezzare le pelli morbide (o flaccide) dall’acqua. Anche lì, comunque, ogni tanto la bellezza mi induce a scattare una foto poi da condividere…
Accanto oggi ho Diego che scava sulla battigia, ben osservato dai cellulari di mamma e papà che filmano, filmano, filmano… E quando i video non vanno bene lo invitano a ri-fare tutto da capo coi saluti per i nonni. Diego si impegna, ma non c’è soddisfazione finché il micro-filmino non è come dice il papà. E Diego si presta, alacre nei suoi scavi da piccolo muratorino o ingegnerino della sabbia, sorridente e salutante sotto gli occhi/i-phone dei genitori compiaciuti. Dopo un po’ il video viene inviato e Diego scava, scava, scava, ma nessuno lo guarda più. Così, Diego si guarda intorno smarrito: non sa più per cosa scavare… E nessuno è immune.

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In definitiva, queste 3 “scoperte” possono essere considerate facezie, premesse, per arrivare all’ultima questione-ombrello che ho “scoperto”: dove sta il mio vero tempo soggettivo, il mio vero Sé, la sostanza del mio piacere di essere umano (non di automa!).

Il libro di Bifo che ho letto in mezzo ad agosto (“Come si cura il nazi. Iperliberismo e ossessioni identitarie”) – il che è una conquista, perché la stanchezza routinaria mi toglie la voglia di leggere, che in queste ferie invece è tornata, come i sogni della notte e le regolarità biologiche! – si conclude più o meno così:

sarebbe necessario vivere al di “fuori dal dominio dell’economico”, […] “fuggire, allontanarsi, e contemporaneamente creare comunità […] elettive”, recuperando compagni di viaggio come “la tenerezza”, il “rallentamento del ritmo”, una terapia “dell’amore, della solidarietà, dell’amicizia”, una ricchezza non di quantità, ma fatta della “qualità dell’esperienza che le cose possono suscitare in noi”, del “godimento che dall’esperienza sappiamo trarre”, lasciando fluire via il controllo e recuperando semmai lacrime e giochi.

In effetti questo mese non ho lavorato e non ho neanche guadagnato. Però, i compagni di viaggio che ho trovato più facilmente (e temporaneamente) sono derivati da un tour a pagamento.

…Ma a noi umani, si sa, le cose facili non ci piacciono! E quindi si naviga con sforzo, nella vita e verso l’inverno, tenendosi cari fari come questi qui.

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