Trovo in mail un invito coinvolgente che riprende molti discorsi del periodo. Fuori dal cinema, infatti, come in un messaggio vocale, come pure in coppia a tavola o bisticciando, in questi giorni è ricorsa l’angoscia della solitudine. E pure l’angoscia del vincolo. Per poi associarvi liberamente la tristezza del sentirsi soli. Quindi rimbalzare nuovamente sulla difficoltà a venirsi incontro e a scendere a compromessi. “Perché dovrei?”, dice qualcuno. “Io non ho ricevuto altrettanto”, risponde l’altro. “Sono stanca di essere disponibile, esisto anch’io!”, dico io. “Io oggi non posso, potevo ieri…”, qualcuno sussurra abortendo ogni possibilità entro un passato irrecuperabile.
Niente cinema o pizza o pub, insomma, mentre la tristezza dilaga sull’irredimibile ambivalenza tra il desiderio di legarsi e il sentirsi oppressi da legami che diventano legacci iper-vincolanti, percepiti come oppressivi pure il sabato sera, pure ogni volta che andiamo più lì dove preferiva l’altro e ci organizziamo in base all’orario di Caio o mangiamo la pizza dove gradiva Pino. Alla fine, l’esito è la serata da soli nel proprio antro preferito, qualsivoglia esso sia. Zone confort-evoli a gogò e abbandoni silenziosi di ogni relazione che porta ad aprirsi a ciò che ci è estraneo o scomodino. “Devo fare solo ciò che sento”, sento spesso dire… E spesso le mie orecchie sanguinano, poiché nell’alito autoprotettivo che pronuncia questa frase manca la consapevolezza delle derive dispotiche di un “Io sento” narcisistico e anti-relazionale… Che non è una (sacrosanta) soggettivazione! Essa, infatti, non prevede l’assoggettarsi all’altro! Semmai, ha a che fare col sapere chi si è anche mentre si sta insieme all’Altro, che pertanto non ci minaccia, semmai ci nutre. Motivo per cui la soggettivazione porta all’Altro.
Eppure qualche dubbio persiste ancora. Come fare quando si incocciano due o più dispotismi? O un arrendevole e un dispotico? “Sfilacciarsi”, “isolarsi” e “ghostarsi” sono robe che vanno di moda per evitare di essere schiacciati della relazione, pure se questa consiste solo in un caffé. D’altronde, del “Dilemma del porcospino” si è tanto parlato fin da Schopenhauer e similmente è gustosa l’ambigua semantica della parola “Legame”:
Etimologia / Derivazione
dal latino ligamen che deriva da ligare, cioè “legare“Sinonimi
legaccio, corda, catena
(senso figurato)(di amicizia, amore, ecc.) relazione, rapporto sentimentale, vincolo sentimentale, sentimento, affetto, parentela, affinità; accordo, patto, promessa, impegno, obbligo
(spregiativo) palla al piede
(tra più elementi) nodo, rapporto, nesso, collegamento, concatenamento, connessione, congiunzione, giunta
(chimica) valenza
(raro) legatura, laccioContrari
libertà, indipendenza, autonomia.
Da relazione a vincolo, da affetto a catena, da connessione a legaccio, insomma, è un attimo, un soffio depauperante. Proprio quello che spampina il sabato sera poiché lo declina in modo non ideale, non a propria immagine e somiglianza, spalmandolo prepotentemente sull’ideale di qualcun altro… in una danza interattiva reciproca che SABOTA ogni possibilità di tenero e divertente e solidale legame (o, se vogliamo, di una serata relazionalmente gratificante). Spesso la lite è furiosa, come ieri sera a casa mia. E intanto ci si chiede come mai ci sia il calo delle nascite, come se la nascita di un bimbo non sia un atto relazionale che deriva dall’incontro tra due esseri differenti…
Senza girarci intorno in tondo:
La fiducia di base l’uno verso l’altro è trafitta da dinamiche competitive spaventose, tanto da farmi provare paura ogni volta che costruisco un nuovo gruppo terapeutico e commozione ogni volta che vedo quanto le persone siano atterrite l’una dall’altra… e quanto inizino sul serio a star meglio non appena cominciano a toccarsi, a fidarsi, ad aiutarsi e sostenersi a vicenda.
Su questo, ho pensato all’arte relazionale di Maria Lai che mi ha fatto conoscere proprio un caro collega, infastidendomi all’inizio, arricchendomi in definitiva. Ve ne lascio traccia qui per diffondere spunti di riflessione sulla possibilità di tornare al valore vitale e bellissimo del legàme, distinguendolo da quei legacci soffocanti da cui è davvero necessario liberarsi per non morirne. (Ricordiamoci l’arte della distinzione, del dare il giusto nome alle cose, cribbio!)
Concludo con l’efficace riflessione da cui è partito oggi questo scritto, condividendo così l’invito che ho ricevuto con chiunque voglia approfittarne o pensarci su:
“Il concetto di “legame” è stato da sempre oggetto di riflessioni in diversi ambiti del sapere e della cultura. Filosofi, psicologi, chimici, scrittori e artisti si sono interrogati sul senso della parola legame. I legami chimici “più forti” hanno un contenuto energetico maggiore e sono più difficili da rompere, mentre i legami minori hanno un contenuto energetico minore e sono più facili da rompere. Da ciò deriva che le molecole che hanno al loro interno legami chimici più deboli sono più instabili.
Seguendo questo filo, le somiglianze non sono poche con la psicologia e la filosofia. La riflessione psicologica contemporanea verte su quanto i legami si stiano trasformando e su quanto la sofferenza diventi sempre più individuale, senza quella protezione che viene dalle appartenenze di coppia, familiari e comunitarie, dai legami “forti”.
È anche vero che la nostra vita è fatta di relazioni, nasciamo, cresciamo e maturiamo all’interno di una relazione. Ancora in filosofia, già Aristotele diceva che «l’uomo è per natura un animale destinato a vivere in una comunità».Ma nella società contemporanea, osserva Bauman, è ancora possibile pensare alle comunità come antidoto alla globalizzazione e all’insicurezza? […] è possibile pensare ad una comunità in cui i legami mantengano caratteristiche quali solidarietà, appartenenza, rispetto e libertà? È possibile pensare ai legami come qualcosa che tiene insieme più che un vincolo che ingabbia in qualcosa sentito come claustrofobico? Che equilibrio è possibile trovare tra individualismo e progetti personali e appartenenze e progetti comuni?”.
(Restare pensanti sulle domande è sempre più importante di trovare eventuali risposte melassose o rassicuranti.)
Ultimamente vedo molti legami “per convenienza”. Dovremmo legarci con gli elastici, in modo da poter rimbalzare, allargarci, avvicinarci, stringerci forti.