“La febbre del fieno”

La chiama così il mio amico T., raccontando le ultime dalla sua azienda agricola. Robe comunque da cui sono incuriosita, poiché di robe agricole ne capisco solo una cippa fritta, ma siccome le amo e le stimo, nel mio fazzoletto di terra non faccio che moltiplicare talee di piante grasse (loro che non deludono mai). Questo è il mio massimo. E però ascolto con curiosità le peripezie di T. come grande spaccato sociale di cui mi incuriosirebbe capire qualcosa. Ad esempio, anni fa qualcuno mi spiegò che esistevano delle “quote” che limitavano ad esempio la produzione di latte; chi ne produceva di più di quanto gli fosse consentito, andava incontro a penali. E perché? Per evitare che il latte si deprezzasse, con conseguente perdita di profitto per gli allevatori. Misure per regolamentare e controllare il mercato, insomma.

Invece giovedì il mio amico T. parlava della penuria di fieno, spiegandomi come funzionano le rotoballe e come si creano, mostrandomi foto del rotofieno e fotogrammi di fatica in forma di occhiaie. Soprattutto, spiegandomi che, col clima folle di quest’anno, sono sopravvissuti pochissimi produttori di fieno, il cui prezzo – per legge di mercato – è schizzato alle stelle. Tanto che gli allevatori stanno preferendo vendere il bestiame! Tanto che, aggiunge pensieroso T. (che produce fieno e infatti ha pure i fili di paglia tra i capelli), sarebbe urgente, invece di arricchirsi oggi, pensare a quel domani in cui, con meno bestiame in giro da nutrire, i ricchi produttori di fieno non avranno più a chi venderlo.
L’anno scorso abbiamo invece assistito alla “febbre del pellet”, per la quale un pacco di questi rotolini di legno pressati che andavano tanto in alternativa al riscaldamento elettrico o a gas arrivò ad avere un prezzo medio di 14 euro. Posto che spesso il pellet altro non è che il frutto di scarti di lavorazione del legno (ad es. segatura pressata): una sorta di olio di sansa, un sottoprodotto, un riciclone, seppur nobilissimamente in grado di offrire eco-combustione. Ovviamente, il rialzo dopo che ci si è in massa e opportunamente salassati con l’acquisto di una stufa a pellet, nonché mentre i costi esorbitanti dell’energia elettrica proseguivano a salassarci da altri punti di vista. “Colpa delle guerra!”, come sempre, insomma. …Chissà quale delle tante note o occulte. E quindi è così – per legge di mercato – che si passa naturalmente a valutare i pannelli solari… (Ma invero dovremmo qui chiederci che cos’è questa tanto decantata sostenibilità…)

E via di moda in moda, di acquisto in acquisto; di modo che il nostro conto in banca si prosciughi in modo sempre più veloce e secondo la legge della preferenze per robe sempre più velocemente superabili e riacquistabili.

Similmente, oggi mi percula anche Alexa che, ignara del suo dover essere grata per essere stata recentemente acquistata, ci bombarda di frustrazione ricordandoci che, senza pagare anche l’abbonamento a Music, non possiamo ascoltare la canzone X che ci piace e che non possiamo cambiare canzone più di 6 volte in 60 minuti se non abbiamo pagato a sto gran ca’. Pezzenti che siamo!
Per altro, resta in sospeso la rovente questione di chat GTP, faccenda immatura che bisognerebbe approfondire per bene prima di agirla/realizzarla, come suggeriscono le ingenue allusioni di quel conoscente che mi disse: “C’è poca vita per voi psicologi!”; lo aveva avuto chiaro dopo aver chiesto a GPT (e non al suo psi) se fosse il caso di aver un figlio, sentendosi rincuorato e soddisfatto per la risposta.

Sarebbe utile capire davvero verso dove stiamo andando. Magari senza demoniache previsioni, né perculanti illusioni, né nuove quote latte su cui far pagare ridicole penali mentre qualcuno annega in mare perché non c’è magna magna sufficiente ad accogliere tutti o muore direttamente digiuno in qualche altrove che – boné boné – ignoriamo.

E se questo febbrile mercato fosse il nostro Tony Manero, eroe positivo grazie al quale si tocca la favolosità del sabato sera, scorcio iconoclasta di una vita deprimente che scolorisce solo in pista sui Bee Gees? E come lui tutte le stories, i selfie, i reel, le cocaine da “Febbre del sabato sera” (e non solo).
La notizia di questi giorni del pusher dei politici palermitani consola poco se penso che i vip possono pagarsi cliniche per disintossicazioni corporali e per pulizie mediatiche, mentre i miei giovani pazienti – molto più Tony, Bobby o Annette style – rischiano davvero di restarci fritti o secchi o sotto. Senza andare per il sottile, insomma.

Ché, su ognuno di questi esempi, bisognerebbe guardare oltre, dietro e sotto, di lato e dentro le lobby e i conti in banca o in borsa che li sostengono pseudo-ingenuamente e che depistano dal reale problema di fondo.

Ché questa smania febbricitante di alzare sempre l’asticella e i prezzi, in fondo, contiene il suicidio del bestiame, del mercato del fieno, del pellet e degli allevatori e o la Febbre del sabato sera di tutti noi stessi… poveri, inadeguati e ottimi pagatori!


[Dai miei appunti di sociologia:
“Ciò che contraddistingue la critica marxiana all’economia politica è la scoperta dello sfruttamento che si nasconde dietro i rapporti di produzione.
Se, però, ci si arresta ideologicamente all’analisi dei rapporti di scambio ( = mercato), lo sfruttamento non appare. Se l’economia non analizza i rapporti sociali che generano il capitale, essa assume un carattere ideologico: descrive la realtà di un modo di produzione dicendo qualcosa di vero, ma tacendone elementi essenziali: ne trasforma la natura, ne occulta gli aspetti problematici e giustifica lo stato di cose presente, cristallizzandolo in una condizione eterna e universale.”]

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