Due scene e due doni

#1
Qualsiasi parola non renderà
e l’emozione arriva senza orpelli;
fermo tutto,
è il privilegio,
la vita vera che
dà senso ai rami,
ai frutti che non c’è stato il tempo di cogliere
– anche perché ne abbiamo abbastanza –
e ora nutriranno chi viene e chi va da centenni
di olive forti dagli steli corti e millimetrici
che ad essere io così millimetrica, volerei nel vento e caldo invernale di ogni sud e ogni dì.

Ne so poco,
né si sa quanti siano,
tra staffette, gruppi e pause, ali, gorgoglii e cinguettii;
è uno stormo,
ed è gratis.
Questa volta il dono
è la scelta
degli ulivi di fronte a me.

E questo mentre il senso sfugge in eccessi di ogni sud e di ogni dì,
pur restando ora dentro un pezzo di cielo.
Registro il suono, la magia fantasy di ascoltarli,
benedetti.

Questa volta il dono
è che abbiano fatto alzare gli occhi in su, più volte,
e lentamente.


#2
In due, quasi giovani,
posteggiano tra il pattume e le ruote,
in fronte al mare restaurato,
poi
in corsa sul corso,
in slalom, alla ricerca di bellezze
urbane
che resistono,
ma che si affatica, la città, a mostrare
come gli occhi a notare.

Ci impegniamo a tenerle dentro, mai gratuite,
a condividerle in piccoli gruppi di due,
(di più
non si può).
E, sedute, concentrate,
nello sforzo di cogliere bellezze mai gratuite,
a un certo punto non si possono che dire
stupiti silenzi
e teneri,
colpiti,
“no”.

“O” lunga,
instupidita
da uno sputo che vola di su noi
dalla strada,
ed è la strada
nobiliare,
allora finta,
centrale,
tersa nelle sforzo sovra/sottoumano di contenere bellezze.

In due inermi,
tese nello sforzo di contenere bellezza,
stupefatte per la saliva avvolgente, trasparente,
che è gratis,
fatta di un dolore fantasy che non ha nome,
se non nella morte di ogni sputo
di bellezza e comunità.

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