La figura mitica del “Don Giovanni” riflette un libertino senza scrupoli senza morale che si prende gioco delle leggi dell’uomo e delle leggi divine. Ma chi è questo Don Giovanni e perché è diventato un mito?
Si tratta di una figura delle leggende spagnole, sviluppata e portata in scena per la prima volta nel 1625 da Tirso de Molina con un’opera dal titolo “El burlador de Sevilla y convidado de piedra”. Il personaggio si sviluppa attraverso i secoli diventando archetipo del conquistador attaccabrighe o elegante burlone – diremmo noi “fimminaro” – seduttore insoddisfatto.
Da allora si susseguono opere, poesie, prosa e soprattutto teatro. Il dramma ha molto successo in Italia, diventa famoso prima con la commedia di Moliere, “Don Giovanni o il festino di pietra” (1665) e poi con l’Opera di Mozart e Da Ponte, il “Don Giovanni” (1787). Anche Goldoni, nel 1725, ne realizzò un’Opera. Nel romanticismo la figura di Don Giovanni viene reinventata secondo i canoni letterari dell’epoca nell’Opera di José Zorrilla “Don Juan Tenorio” (1844) che introduce tematiche romantiche come l’amore idealizzato e attribuisce al protagonista caratteristiche quali l’arroganza, il valore, l’astuzia e l’impeto. In Spagna, il Don Juan Tenorio di Zorrilla è l’opera più conosciuta e viene rappresentata ogni anno per il giorno dei Morti.
Una delle differenze tra il personaggio originale di Tirso de Molina e quello di Zorrilla è che il primo finisce tragicamente tra le fiamme dell’inferno mentre il secondo si pente e si salva dal castigo eterno. La differenza è data ovviamente dall’epoca: nel Barocco, epoca segnata dal confine tra moralità e immoralità, trasgressione e punizione, ci si salva solo attraverso una vita pia e di preghiera, non esiste – come nel romanticismo – nessuna intercessione d’amore che può salvare il protagonista romantico dalla punizione divina.
Nell’epoca romantica la figura ritrova vigore grazie a poeti e letterati quali Byron, Dumas, Balzac, Flaubert e Baudelaire. Nel secolo scorso si sono occupati del personaggio da Pirandello a José Saramago.
Ne risulta quindi una figura dalle mille sfaccettature: da un lato il seduttore, sprezzante delle regole, ateo, ipocrita calcolatore, ingannatore che si prende gioco delle donne e perfino della morte e di Dio; dall’altro incarnazione della libertà e del libero arbitrio.
La storia gira attorno ad una scommessa tra Don Juan e Don Luis Mejía: i due si ritrovano ad un anno dalla prima scommessa (chi uccideva più avversari in duello e seduceva più donne) che vede vincitore Don Juan. Don Luis, non pago, sfida il protagonista in un’ulteriore impresa: sedurre una novizia, Doña Inés. Don Juan non solo accetta ma rilancia dicendo che avrebbe sedotto anche la fidanzata di Don Luis, doña Ana. E ci riesce! Rapisce Inés dal convento e la seduce, però si innamora di lei e supplica il padre della donna, il Comandante Don Gonzalo, che però chiede vendetta, assieme a Don Luis. È quando Don Juan dichiara il suo vero amore a Doña Inés che avviene la tragedia: uccide in duello Don Gonzalo e don Luis, dovendo abbandonare la città e rifugiarsi in Italia. Nella seconda parte dell’Opera il protagonista torna a Siviglia dopo 5 anni e scopre che la sua casa e il suo palazzo racchiudono un panteon che ospita le tombe di Don Luis, del Comandante Don Gonzalo e quella di Doña Inés, scoprendo in questo modo che la donna è morta durante la sua assenza per il dolore e la tristezza. Allora accade la “meraviglia”: le statue dei morti prendono vita e comunicano a Don Juan che gli sarebbe rimasto solo un giorno di vita, esortandolo a pentirsi dei suoi peccati. Don Juan fino all’ultimo si mostra scettico e insolente, alla fine dell’Opera la statua del Comandante sta per trascinare Don Juan all’inferno ma Doña Inés intercede per lui ottenendo la sua salvezza eterna.