Manca poco!
Scrivo con questo grande pancione davanti che già da un po’ domina il mio corpo in termini di fame, sonno, posture e posizioni, desideri, sessualità, digestioni, limiti, odori… insomma: quasi tutto. Non domina però esattamente la mia mente, nel senso che non sento un restringimento del pensiero solo sulla gravidanza, né penso di essere troppo diversa da prima, ovvero da quando non avevo 4 arti, 2 teste ed anche un pisellino.
Su questo, mi sento ad ora (poi chissà cosa accadrà) molto differente dalle altre donne-mamme che conosco, la maggior parte delle quali ho visto mutare abbastanza radicalmente con la maternità. Forse fattori come i tanti anni di analisi e di autoanalisi e il diventare madre a 41 anni dopo averlo tanto pensato, immaginato e desiderato donano consapevolezze diverse, il senso dei propri limiti chiaro, maggiore serenità su ciò che si può/vuole fare e su ciò che non si può/vuole fare. Sono abbastanza serena e mi pare addirittura di non aver (poi chissà cosa accadrà-bis) perso i miei progetti e desideri individuali e di coppia; semmai, mi sento arricchita dell’idea che presto saremo in 5 e che ci saranno tantissime novità. Credo sarà difficile gestire soprattutto la carenza di sonno e la mancanza di una mamma o sorella che possano spalleggiarmi quotidianamente in un modo intimo (ovvero in un modo in cui io posso essere del tutto autentica), ma ci stiamo attrezzando con tata Maddalena e con l’idea che faremo il meglio possibile, senza perfezione e cercando di non perdere ciò che abbiamo conquistato così a fatica e che ha generato il piccolo Noah: noi stessi. Poi, ecco, ribadisco: chissà cosa accadrà-tris.
Altro apprendimento sul campo di questa difficile gravidanza è infatti che non si può controllare tutto. Telemaco, ad esempio, non accetta (e non credo accetterà mai) che la culletta non è sua… Ipotizzo che, con buona pace delle critiche già iniziate (più o meno) sommessamente ad arrivare, continuerà ad infilarsici dentro anche quando ci troverà il pupo; allora, stanchi di rimproverarlo ma senza la voglia di privare nostro figlio del forte amore che questo micio sa dare, lo stiamo abituando a stare dove vuole, ma sempre su copertine ad hoc …e speriamo che infine si vogliano molto bene. Appunto, si fa quel che si può e che in fondo ci rispecchia, senza ossessione.
Certo, ho paura che le cose da tenere a mente saranno davvero tante, per questo mi sono accaparrata un tiralatte che tira da solo e che sta appeso autonomamente alla tetta (almeno lui!); ma vediamo se avrò latte e se lui lo vorrà e se io vorrò/potrò darglielo. Si farà quel che si può, ostacolando la “naturale” rigidità mentale della nostra cultura matriarcale di appartenenza (quindi anche mia e del papà), che trovo spesso estremamente invadente… soprattutto nei confronti della mia parte “donna”.
Non possiamo infatti mentire: la narrativa storico-culturale che ci abita ha nel tempo connesso indissolubilmente i 2 concetti di “madre” & “donna” (ignorando per altro eventuali altre parti della personalità), fino a “minare” profondamente le identità individuali (e non solo) delle donne. Già nel 1949, Simone de Beauvoir affermava che, fin dal momento in cui nasciamo, siamo soggetti all’influenza di processi sociali e culturali che ci trasformano nelle persone che diventiamo. E che sia gli uomini che le donne, a partire dal loro sesso biologico, sono modellati dalla società per adempiere a determinati ruoli e mandati precostituiti. Venendo al mondo, insomma, subiamo questa violenza di essere automaticamente incasellati in una categoria che contiene un “manuale d’istruzioni” su ciò che ci si aspetta da noi… A meno di metterci su un pensiero soggettivo!
Questo lo dice una nota filosofa, come pure i miei mentori psicoanalisti, ed è anche il mio pane quotidiano, ivi compresa l’evidenza che tale modus operandi culturale genera oggi sofferenza e necessità di dispositivi che se ne curino, ad esempio che possano decostruire dentro noi stessi questi potenti, rigidi, diktat socio-psichici. Non sapete ad esempio quanto è divertente osservare nel dettaglio la faccia delle altre donne (ma anche degli uomini) quando dico che la culla di Noah starà dal lato del letto del papà e non dal mio! Credo che, se non temessero di essere troppo sfacciatamente bullizzanti e ottusi, mi farebbero un esorcismo o comunque mi sfotterebbero apertamente. Di fatto, tuttavia, io non ho (al momento) troppa paura di nessuna di questi 2 agiti, così mi godo il divertimenti di sfidare gli stereotipi (mentre ne ho ancora la forza, poi chissà cosa accadrà-quater). D’altronde, un esorcismo l’ho già vissuto a cura dell’ideologia religiosa strong operante in mio padre versus la mia adolescenza oppositiva, e – certo – non è stato un momento bucolico, ma sono sopravvissuta (ed anzi posso dire di aver avuto nella mia vita molta più paura di altro!). …Ad esempio, di quanto mi abbia fatto e mi faccia sempre sentire schiacciata l’evidenza che le aspettative della società su ognuno di noi sono in gran parte basate sul “come si fanno le cose (giuste)” in base a parametri standard, tipo il sesso biologico. Secondo questo tipo di fondamentalismo, esiste chiaramente e definitamente “la donna” ed esiste chiaramente e definitamente “l’uomo”; inoltre, “essere donna” significa(va) essere super concentrate sulla maternità, mentre l’uomo aveva altri tipi di compiti extra-domestici e stop.
…Per fortuna, nulla è così ovvio quando ci immergiamo nelle profonde acque del pensiero, della vita e del significato personale! Oggi l’essere umano si è arricchito di nuove sfumature e significati. Così mi sento di dire – e neanche troppo provocatoriamente – che spesso sono già stata madre; che ho pure imparato nel tempo ad essere paterna; che mi impegno ad essere donna (per come intendo io la femminilità) ogni volta che ne ho le energie e la voglia; che so essere sorella e fratello, al di là di pene e vagina; che desidero non dimenticare di essere anche compagna e innamorata; che posso essere amica e che desidero ancora essere un po’ figlia e nipote, nonostante i miei genitori e nonni non ci siano o non siano più solo, a loro volta, genitori e nonni, ma più spesso figli e bambini; e che anzi imparo da loro ad essere di nuovo bambina o a volte mammetta; come pure imparo dai miei pazienti ad essere un modello di mamma/essere vivente nuovo (non culturalmente determinato), a guardare a mio figlio e ad immedesimarmi in lui ed in un materno costruito da me …che dà radici ma anche ali, che lavora sempre su di sé come madre, padre, donna, sorella, fratello, amico/a, essere umano, bimbo, adulto, compagno, amante, persona in carriera, etc. e che sa che gli eventuali pezzi di questo puzzle umano che potrebbe trascurare o evacuare poiché indesiderabili… non equivalgono a “più amore” (“sacrificale” e quindi puro), ma a pezzi del puzzle della vita necessarissimi che – se terrò con me nonostante le critiche, le fatiche o i modelli infiocchettati, belli belli, giusti e precostituiti – passerò al mio piccolo, insieme alla consapevolezza di tutti i complessi e sempre co-presenti livelli che la rendono degna di essere vissuta!
Poi ecco… per la quinta volta, chissà cosa accadrà.
Intanto questo è un punto di partenza, concediamoci di riparlarne!