Essere madre oggi – Riflessioni sparse #4

Ok: è domani!
Quando queste parole saranno on line, il mio pulcione lo avrò sicuramente già conosciuto fuori dalla pancia. “Come sta andando?”, mi chiedono dando per scontato che io risponda piena di felicità. Io rispondo invece piena di ambivalenza, conscia dei vari puzzle dell’animo umano (e nella fattispecie dei miei). Ovviamente sono iper-intererita dal conoscere questo cavalluccio amniotico che nelle ultime settimane mi fa sentire più un’idrovora famelica che una donna. D’altro canto, sono in ansia per il tagliaccio, l’ospedale, il clima medico, l’assenza accanto a me del mio compagno per via delle già citate norme ospedaliere e, ovviamente, per il cambiamento nucleare che mi attende. Beh, la mia storia familiare infelice con gli ospedali fa ovviamente la sua (s)porca parte in questo; d’altronde, è sul serio un’operazione, quindi ok, ci teniamo pure l’ansia e ci vogliamo bene pure così.

Intanto rifletto sui corsi di parenting pre e post partum, sulla loro penuria e su quanti aspetti psico-socio-economico-culturali sarebbe invece importante affrontare nel passaggio esistenziale verso il ruolo genitoriale. (Risorge qui il ricordo di quanto, da post-adolescente, ruminassi di rabbia per il fatto che i miei genitori non ne avessero mai fatti…)

Ma andiamo per (s)punti di pensiero:

Punto 1. La nostra storia influenza la nostra futura genitorialità (nonché tutta la vita intera). Non approfondisco, ma solo un esempio: come dicevo, se io ho paura degli ospedali è perché da bimba li frequentavo molto soprattutto per via della salute di mia mamma; nessun adulto aveva fatto appunto un percorso o un pensiero che lo rendesse capace di spiegare a noi bimbi a gestire quei momenti e quelle emozioni. Così io oggi, non appena mi avvicino all’idea di andare in ospedale, ho delle reazioni emotive incoerenti e paurose…
Vorrei sottolineare che questo meccanismo di funzionamento vale un po’ per tutto e tutti, compreso ad esempio l’allattamento, il modo in cui parliamo ai figli, in cui organizziamo la coppia, la casa, la famiglia, la vita nel mondo sociale, etc. Servirebbe saperlo? Beh, come la differenza tra l’agire in loop e sempre in automatico ( = non saperlo) e scegliere liberi dagli schemi noti ( = saperlo, conoscerli, ripensarli, trasformarli).

Punto 2. “Oddio, è un maschio!”. Su questo punto penso tornerò molte volte. Devo – ahimé – confessare che una parte di me risvegliatasi con la panza è stata contenta di questa scoperta pisellotica, e ciò per via del senso di fragilità e di poca tutela esperito da donna durante la gravidanza (vi assicuro che la fila preferenziale alle casse non fa sentire meglio per un ciufolo)… Per cui ho pensato: meno insidie per un figlio maschio! Pensiero poco resistente e di lotta, pensiero fragile, pensiero triste, ma – ahimé-bis – pensiero che ho realmente concepito. Per il resto, sono poi stata felice di avere la possibilità di crescere un maschietto con cui condividere tanti valori, compresi quelli legati al genere, sperando di ristrutturare – come in buona parte è avvenuto tramite il legame di coppia e il rapporto con i miei pazienti uomini – la mia relazione difficile col maschile patriarchista. Vengo infatti da un padre che è ancora stupito che il mio sia un lavoro serio e che non ha mai (MAI) compreso il mio pensiero divergente; confesso inoltre di avere paura di alcuni meandri culturali miei medesmi (come quelli di cui sopra) e di Anto, per cui lui si è stupito ad esempio del mio pensiero di uscire a stretto giro col bambino o di lasciarlo qualche ora con la tata già dopo 10 giorni dalla nascita per andare a fare qualcosa per me. Emi chiedo come fare democraticamente quando Noah farà battute sessiste sentite a scuola o chiederà cose come il colore azzurro e il calcio poiché ai maschi piace così, mentre noi siamo più per l’arrampicata non agonistica, per il verde, il giallo e l’arancio (o comunque per ciò che piace davvero, e non in automatico). Ci penso e ne riparlerò, ma sappiate che ci penso molto e mi preoccupo. Intanto superiamo il rapporto col pisellino e con l’idea che bisognerà trovare il modo di tutelare il bagno dall’esistenza di 2 uomini nella stessa casa! (Ed ecco sulla soglia lo stereotipo, argh.)

Punto 3. Il consumismo neonatale, oddio! Abbiamo capito che il mangiapannolini serve perché, a quanto pare, trattasi invero di scorie nucleari. Abbiamo capito pure che siamo troppo ansiosi per fidarci del nostro gomito e quindi ci vogliamo bene spendendo soldi per un coniglio-termometro che funziona male (forse peggio del nostro gomito). Abbiamo capito che la gente prima ci ha indotto, forse per moda, a fare le liste nascita per auto-facilitarsi e facilitarci nei doni utili, ma che poi non le ha usate per mesi (alcuni ancora oggi fino, a 1 giorno dal parto), e quindi noi, che ci abbiamo messo dentro “solo” le “poche” cose che abbiamo sentito “necessarie”, alla fine parecchie ce le siamo comprati comunque da soli… e però ad oggi, a -1 dal parto, riceviamo telefonate di lamentele perché la lista aperta 4 mesi fa è vuota. Inoltre abbiamo capito che anche i negozi e i negozianti più rinomati sono tutti dei mangiafuochi famelici che, pur di incassare con certezza, sono disposti ad apparire rincoglioniti o con demenza precoce; del tipo: andiamo a saldare e sottolineiamo “ok, la lista è vuota, se per caso venisse qualcuno fate fare al massimo un buono”… Dopo un’ora (e comunque sempre a -1 dal parto) ci va la zia settantenne e le dicono che manca l’ovetto per la macchina da regalare; così la zia, che sapeva che quello lo aveva regalato lo zio, entra in confusione, pensa che noi facciamo pasticci, se ne va senza regalo e chiama lo zio e pure la quasi-nonna per lamentarsi, tutti pensano che noi siamo pasticcioni, che ci sono regali doppi, ci chiamano e ci cazziano. TOP! E comunque abbiamo capito, insomma, che c’è chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. Noi veramente la vorremmo semplice per noi stessi quantomeno stavolta e invece ci si complica la vita forse per eccessiva solitudine, per eccessivo consumismo, per l’eccessivo non conoscersi a sufficienza.
Una cosa però la devo dire: siamo anche stati bravi a gestire nei mesi tante cose che non vi elencherò; una, due al giorno, per non impazzire a bomba e non far dominare le nostre giornate dalla mania inutil-onnipotente del controllo. Tuttavia, rimane la domanda su quali delle cose che ci sono apparse “necessarie” NON lo sarebbero se fossimo più attrezzati ad essere genitori e se ci tramandassimo i saperi l’un l’altro, insieme, come un tempo. Invece qui spesso si ricorre ai tutorial youtube… Troppo poco tempo, troppo poco minimal forse… E il tempo è un lusso o, sempre più spesso, un bene di consumo… Noi ci ripetiamo che proveremo a non essere definitivamente contagiati, e speriamo bene!

Punto 4. La rete spacca-bis. A proposito di antidoti ai tutorial monadici, ai consumismi inutili da mangiafuoco&ciuchini e alle carenze dei corsi pre e post-partum, il calore più bello di questi mesi – immagini e movimenti infiniti del mio cavalluccio amniotico esclusi – è stata la vicinanza di quelle persone che hanno voluto tenersi vicine a noi (e noi a loro) e che in questi giorni di ansia mi e ci stanno supportando in tanti modi, compresi i turni in quell’ospedale di zulandia per non lasciare sola una mammetta cesarizzata che ha scoperto solo ieri, grazie alla carenza di sollecitudine istituzionale (però poi è il paziente rompicoglioni, vero?), che sarà mezza vegetale per un po’ di ore!

Il mio villaggio gruppale non era incluso nella lista-nascita, ma è il dono più prezioso arrivato in questi mesi insieme a Noah. Nulla a che fare col Trio. Speriamo di ricordarcelo tutti a lungo!

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