Smart working (parola inventata) ma quanto ci serve!

Vi ricordate i bei (?) tempi lontani della pandemia, quando molte aziende sono state costrette ad adottare lo smart working per evitare il fallimento, aprendo di fatto ad un possibile cambiamento nella cultura lavorativa del nostro paese? Beh, adesso quella misura tanto indispensabile per evitare il fallimento e continuare a produrre, se la stanno passando por el culo, come si dice da noi. La classe dirigente italiana mostra una estrema riluttanza ad abbracciare pienamente questo modello lavorativo. Ma perché mai? Chissà perché in Italia la cultura del presenzialismo è talmente tanto radicata che se un lavoratore non sta in ufficio, si sente che si perde una sorta di controllo sulla sua persona e questo potrebbe influire sulla produttività? Ay, Maledetto capitalismo!

Benefici dello Smart Working

Nonostante le evidenze sui benefici dello smart working – tra cui una maggiore flessibilità, riduzione dello stress legato agli spostamenti, e, in alcuni casi, un incremento della produttività – molti dirigenti italiani considerano il lavoro remoto una soluzione temporanea piuttosto che un’opportunità a lungo termine. La flessibilità non solo aumenta la soddisfazione dei dipendenti, ma ha anche portato a un incremento della produttività in vari settori. Le aziende inoltre risparmiano su costi fissi (es. affitto, energia) e migliorano la gestione degli spazi aziendali. Uno dei maggiori benefici sta nel fatto che il lavoro remoto riduce gli spostamenti, contribuendo a una riduzione delle emissioni di CO₂ e ad un migliore equilibrio tra vita privata e vita lavorativa. Infatti lo smart working ha dimostrato di migliorare il benessere di molti lavoratori, riducendo lo stress legato agli spostamenti e migliorando l’equilibrio tra vita lavorativa e personale. Tuttavia, la resistenza della dirigenza italiana potrebbe essere vista come una mancanza di attenzione verso il benessere psicofisico dei propri dipendenti.

Molti manager purtroppo vedono lo smart working come una perdita di controllo sui dipendenti. L’idea di non poter “vedere” il personale a lavoro genera ansia nella classe dirigente, che si affida spesso alla supervisione diretta per misurare la produttività. Questo approccio è legato a un modello di leadership tradizionale, basato sulla supervisione continua, piuttosto che su una fiducia verso i propri dipendenti.

Eppure ci sono esempi di aziende italiane che hanno dato piena fiducia a questo modello lavorativo e hanno capito che il lavoro remoto può essere un’opportunità per attrarre talenti e migliorare la produttività. Si tratta soprattutto di aziende del settore tecnologico e che non richiedono manipolazione di prodotti naturalmente. Qui in Spagna molti posti di lavoro sono orientati verso il modello “ibrido” che alterna giornate in ufficio e giornate in remoto. Quella del modello ibrido potrebbe essere un’ottima soluzione per le nostre aziende in Italia, tanto riluttanti all’idea di abbandonare il presenzialismo, che può far abituare i manager all’idea che se lasci un paio di giorni il lavoratore a lavorare da casa non fallisci!

Lo smart working rappresenta un’opportunità unica per innovare il mondo del lavoro italiano, ma richiede un cambio di mentalità della classe dirigente. Superare il presenzialismo e adottare un modello basato sui risultati, insieme a un’adeguata regolamentazione legislativa, può non solo migliorare la produttività aziendale, ma anche il benessere dei lavoratori. Le aziende che sapranno affrontare questo cambiamento in modo proattivo potrebbero non solo sopravvivere, ma prosperare in un mondo del lavoro che continua ad evolversi.

Insomma, come un poco in tutti i settori, bisogna sradicare i dinosauri dai loro posti di pietra. 

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