Come potreste intuire dall’immagine in evidenza, oggi scrivo “con la faccia”.
Questo per me significa 2 cose:
– La prima è relativa a un modo di dire in uso tra i miei pari, dal seguente significato: “Sono talmente stanca che non possiedo più l’uso degli arti, pertanto scrivo/stendo/cucino/etc. usando la faccia, ovvero eseguo le cose non con gli arti, ma con la faccia” (che sa anche di muoversi proni, a fatica, stricando la faccia a terra).
– La seconda è che in quello che scrivo mi espongo, ci metto la mia faccia (precisamente quella lì mezza sgangherata, tra il divertito e l’esaurito/perplesso, della foto); e con questo intendo dire anche che sto digitando metaforicamente con la faccia e non con le mani (quindi male e senza raffinatezze), che mi prendo la responsabilità sana sana di ciò e che, inoltre, lo sottoscrivo NON con disperazione, ma con uno sgangherato senso di humor misto a una certa difficoltà.
Il succo del discorso, comunque, è che Lei è arrivata: la famigerata stanchezza del maternage mi ha travolto, tanto che confesso di avere un po’ di timore per il rientro a lavoro post-ferie-natalizie, non solo per il dispiacere di allontanarmi nuovamente da Noah ogni giorno per molte ore, ma anche e soprattutto perché rientro in studio più stanca di prima delle ferie.
Per onestà intellettuale e morale, va detto che, prima di ripiegarmi in 2 su me stessa – proprio modello sedia pieghevole – come sta accadendo oggi, ci sono state delle tappe intermedie dell’avvento di tal stanchezza che facevano presagire La Caduta, avvisaglie che io mi sono ostinata a prendere solo come divertenti gag da raccontare. Tipo:
1) L’alterazione del rapporto con la cura più superficiale di sé; dunque sopracciglia e altre pelurie rese sempre più selvatiche, appuntamenti dall’estetista rimandati per amor di un paio d’ore in più con l’amoroso figlio, gli stessi abiti usati 2 giorni di fila (“tanto non lo saprà nessuno”)… fino a cose più strong come pantaloni e mutande al contrario o alla rovescia, preparare la biancheria pulita e dimenticare di togliersi quella sporca ricordandolo mentre sono in autostrada (lo sto confessando, sì), etc.
2) Dei seri vuoti di memoria, proprio buchi neri di oscura incertezza: ma gli ho cambiato il pannolino o no? Mi sono messa il deodorante oggi? Ho pagato? E poi ho rimesso il portafogli in borsa? O pensieri come “ho perso il cellulare” mentre lo avevo in mano o “mi sarà caduta la sciarpa per strada”, sciarpa che avevo piegato e accuratamente lasciato in macchina.
3) Scene cult di me, ad esempio io che mi muovo per la casa registrando messaggi-audio con in mano un bicchiere, eppur convinta di aver in mano il cellulare. O io che mordo una banana chiedendomi perché è così coriacea (o meglio dura), per poi avvedermi che la stavo mordendo con la buccia.
4) L’alterazione del rapporto con i propri bisogni fisiologici: la inizio facile con cose tipo finire dilavarsi alle 13; segue ovviamente sessualità blanda, occasionale, rada, a tratti assente; pupù? “Il bimbo piange, magari dopo” (ovvero mai più per giorni); “devo fare la pipì, ma ho 2 minuti per prendere l’amido di riso per l’eritema di Noah prima che chiudano, quindi? Quindi mi accollo il rischio di farmela addosso” (vi lascio il dubbio su come siano andate poi le cose…).
Ci sono poi altre cose che rientrano nella norma della stanchezza-tipo, come dimenticare di rispondere ai messaggi o di ascoltarli, invertire i giorni della settimana, non sapere più che giorno è senza l’agenda, restare col frigo vuoto, parlare e bloccarsi perché hai dimenticato cosa stavi dicendo, sovrapporre gli impegni, et similia. Insomma: ci sono dentro.
E’ che fare un figlio è faticoso. Ed è faticoso con tutto l’amore del mondo, anche perché – pure se lo adori e lo rifaresti mille volte – non è questa l’epoca delle famiglie o della vita semplice. Questa è l’epoca in cui la notte di Natale sei da solo perché, se non si sa creare lo spazio-tempo-desiderio per l’incontro, l’incontro non avviene mai e non è vero proprio che a Natale siamo tutti più ben disposti. Ed anche se io faccio la figa, quando il mio compagno lavora, io mi sfinisco se devo badare anche alla casa, agli animali, alle relazioni sociali e al mio lavoro (perché quando hai un bimbo il resto della vita ovviamente non si ferma e non è vero che è semplice subordinare tutto a lui!). Però è giusto dirlo e confesso anche questo: io sono una yes-girl! Oggettivamente, il mondo odierno richiede di essere stra-multitasking, ma questa sfinitezza è oggettivamente anche colpa mia che provo a far troppo, compresi i regali di natale al negozio, quelli della befana e degli onomastici, tutti gli auguri e i doni di compleanno, i vari “come stai?” e i ripetuti farsi sentire. Mi impegno, inoltre, a fare socialità, ad uscire da sola con Noah per abituarci a questo e abituarlo al mondo. Mi ostino a scrivere per Abattoir e per cose di lavoro e a continuare un poco di attivismo, a leggere, a sentire persone… E’ vero anche che mi fermo per allattare, per giocare con lui, che prendo pause, che sono disposta ai tempi lenti o comunque abbastanza lenti… ma… non sembra mai sufficiente né per estinguere le cose da fare e o i desiderata, né per essere più rilassata e riposata! Sbucano sempre nuove esigenze per lui e cumuli di lavatrici e sui pavimenti e monticcioli di robe da sistemare e caterve di messaggi da leggere e a cui rispondere. Oggi, ad esempio, per recarmi ad una merenda con alcuni dei miei amici del cuore, ho passato (dopo una già intensa mattinata) un’ora circa di preparazione tra sistemare lui (cibo, pannolino, muchetto, borsa per ogni esigenza, etc.) e caricare la macchina. Alle 16 mi son venuti un mal di testa e una pesantezza da affaticamento tali che poi, in compagnia, ero frastornata e non riuscivo a chiacchierare e spesso a seguire i racconti degli amici. Infine alle 19:30, dopo l’ennesima guida per tornare a casa (cosa che temo spesso di far male per la poca lucidità e che mi genera ulteriore ansietta per l’avere il piccolo in macchina), mi si chiudevano gli occhi.
Lo so, sembra una narrazione vittimistica. Vi dirò che non è esattamente così, che sono fiera di me e di noi, che adoro il mio piccolo nonostante tutte le fatiche, le preoccupazioni e le difficoltà e che è stato bello poi addormentarci insieme, estenuati, allattandolo con i ricordi delle coccole degli amici. Ora sono di nuovo sveglia (ma sempre con la faccia e con poche altre parti del corpo & del cervello) e scrivo mentre un poco lo accarezzo; tra poco ci tocca il bagnetto e boh, non so bene come uscirne…
Bisogna far spazio per lui e questo spazio deve essere molto ed anche molto vuoto. E’ difficile, e non sai mai quanto basta o quanti “no” è giusto o è bene dire. Anche perché, consapevoli per quanto possiamo essere che ciò non va bene, non è questa l’epoca del vuoto.
Noto, comunque, che è sicuramente un esercizio alla limitatezza umana, un bimbo; è sfrondare il superfluo, è scegliere ed è accettare di più i limiti cui sono chiamata con le persone a cui voglio bene, con me stessa, col lavoro, coi doveri domestici, con tutto. Fino ad ora pensavo di essermela cavata abbastanza bene, ma – se il sintomo è che martedì torno a lavoro più stanca del 23 dicembre – mi pare che invece non sia così. Quindi la chiudo qui, in sospeso e senza ambizione, imperfetta, vaga, stanca, nelle more di capirci qualcosa e chiedendo fin da adesso comprensione per quella reiterata, strampalata, faccia confusa e/è felice, frutto di uno sgangherato senso di humor misto a una certa difficoltà!